Secondo le stime fornite dall’Istat, entro il 2051 i lavoratori italiani potranno andare in pensione solo al raggiungimento dei 70 anni. A delineare questo scenario è stato Francesco Maria Chelli, presidente dell’Istituto, durante un’audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato sul Piano di Sostenibilità di Bilancio (Psb). La causa principale di questa prospettiva risiede nell’invecchiamento della popolazione e nel calo delle nascite, che stanno amplificando lo squilibrio tra nuove e vecchie generazioni, con conseguenze importanti per il sistema previdenziale e le politiche di protezione sociale.
Il quadro demografico attuale e futuro dell’Italia appare preoccupante. L’Istat stima che entro il 2031 le persone di età pari o superiore ai 65 anni rappresenteranno il 27,7% della popolazione, rispetto al 24,4% del 2023. Questa percentuale è destinata ad aumentare fino al 34,5% entro il 2050. Nel frattempo, il numero delle nascite continua a scendere: nei primi sette mesi del 2024, sono nati circa 210 mila bambini, 4 mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. I decessi, pur in calo rispetto al 2023, sono stati circa 372 mila nello stesso periodo. Questo saldo nascite-decessi fortemente negativo (-163 mila nel 2024) sottolinea l’amplificazione degli squilibri demografici.
A causa di questi trend, il sistema pensionistico italiano si troverà sotto pressione. L’aumento dell’aspettativa di vita e il calo della popolazione in età lavorativa rendono inevitabile un allungamento della vita lavorativa. Attualmente, l’età pensionabile in Italia è fissata a 67 anni, ma secondo le proiezioni Istat, questa salirà a 67 anni e 3 mesi nel 2027, 67 anni e 6 mesi nel 2029, per poi arrivare a 69 anni e 6 mesi nel 2051. Il continuo invecchiamento della popolazione e l’aumento della speranza di vita a 65 anni sono i fattori che contribuiscono a questo costante aumento.
Una delle maggiori preoccupazioni è il crescente squilibrio tra la popolazione in età attiva (15-64 anni) e quella in età non attiva (0-14 anni e oltre i 65 anni). Già nel 2031, la popolazione attiva potrebbe scendere al 61,5% del totale, mentre nel 2050 si prevede un ulteriore calo al 54,4%. Ciò implica che, per ogni lavoratore, ci saranno sempre più pensionati da sostenere, aggravando ulteriormente il sistema previdenziale e il mercato del lavoro. In uno scenario peggiore, con una popolazione in declino verso i 52,7 milioni, lo squilibrio tra pensionati e lavoratori sarà ancora più marcato, rendendo insostenibile la copertura previdenziale senza significative riforme.
Oltre alla questione pensionistica, il cambiamento demografico avrà ripercussioni significative anche sulle famiglie. L’Istat prevede che le famiglie italiane diventeranno sempre più piccole e frammentate, con una diminuzione del numero medio di componenti per famiglia, che passerà da 2,25 persone nel 2024 a 2,18 nel 2031. Allo stesso tempo, aumenteranno i nuclei familiari composti da una sola persona, che saliranno da 9,4 milioni nel 2024 a 9,9 milioni nel 2031. Questa evoluzione renderà più complessa la gestione delle politiche di protezione sociale, specialmente in un contesto in cui i bisogni della popolazione anziana cresceranno notevolmente.
Tutti questi fattori avranno un impatto diretto sui conti pubblici. Il governo italiano, consapevole della necessità di garantire la sostenibilità del sistema previdenziale, ha dichiarato nel Piano strutturale di bilancio che l’allungamento della vita lavorativa è una misura imprescindibile. Sono allo studio incentivi per promuovere la permanenza nel mercato del lavoro, come il bonus Maroni, che premia chi continua a lavorare nonostante abbia raggiunto i requisiti pensionistici. Tuttavia, restano confermati i canali per l’uscita anticipata dal mercato del lavoro, come l’Ape sociale, Quota 103 e Opzione donna, seppure con requisiti più stringenti.
Le sfide demografiche che l’Italia dovrà affrontare nei prossimi decenni richiedono misure urgenti e mirate. L’invecchiamento della popolazione, il calo delle nascite e l’aumento dell’aspettativa di vita non solo spingeranno in avanti l’età pensionabile, ma metteranno anche a dura prova l’intero sistema di welfare. Senza riforme strutturali adeguate, la sostenibilità del sistema previdenziale e il benessere delle future generazioni saranno compromessi.
Gloria Giovanditti