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L’attenzione del dibattito pubblico è concentrata sulla transizione energetica, forse perché si immagina una prospettiva di energia “verde”, ecologica. Gli aspetti critici del rapporto tra energia e ambiente, sia nella fase di produzione dell’energia che in quella del consumo, sono poco avvertiti, e si sovrappongono aspetti che andrebbero gestiti in maniera distinta: variazioni climatiche, impatto ambientale, inquinamento. In questo momento si constatano gli inconvenienti di un insufficiente approvvigionamento energetico, che influisce sulle bollette delle famiglie e frena la produzione industriale. Un segnale che dovrebbe far riflettere sulla quantità di energia necessaria alle ordinarie attività quotidiane, e ai problemi concreti di sostituire le fonti energetiche tradizionali con fonti rinnovabili, escludendo possibili evoluzioni della produzione con energia nucleare. Un territorio come l’Italia, con forte densità di popolazione e un’economia turistica basata sulle bellezze paesaggistiche, potrebbe mal sopportare la necessaria quantità di installazioni di pale eoliche e pannelli solari tale da coprire una percentuale significativa del fabbisogno. Recenti interventi del fisico premio Nobel Carlo Rubbia e di Ferruccio De Bortoli sul Corriere della Sera possono contribuire utilmente al dibattito.
La transizione digitale viene molto meno considerata. Si ritiene forse che sia già sufficientemente “amica dell’ambiente”, o dopo l’esperienza di quasi due anni di didattica a distanza e lavoro “smart” si pensa che il nostro Paese sia adeguatamente attrezzato per affrontare le nuove frontiere digitali.
Anche la prossima Settimana Sociale dei cattolici italiani, a Taranto, insiste molto sulla transizione ecologica ma lascia sullo sfondo il tema delle tecnologie digitali, e l’effetto di
trasformazione profonda che esse producono sull’economia e sulla finanza. L’ Instrumentum Laboris (n.11) individua, in accordo alla Laudato si’ (n. 101), “il paradigma tecnocratico dominante” come fonte di un “antropocentrismo deviato”. La cultura tecnologica del nostro tempo influisce sulla mentalità dell’uomo, portato a non rispettare la struttura naturale e morale di cui è stato dotato (LS, n.115), ritenendo lecito tutto ciò che la tecnologia rende possibile. La visione tecnocratica altera allo stesso tempo l’ecologia umana e l’ecologia ambientale, ma è nell’uomo che va ripristinato l’equilibrio. È l’uomo infatti chiamato a “governare” la tecnologia, a controllarne il potere e indirizzarla al bene, partendo dal dominare in se stesso lo spirito di potenza che lo induce a sentirsi padrone assoluto delle cose e della natura (il cap. III della Laudato Si’ , “la radice umana della crisi ecologica”, è debitore a Romano Guardini dell’analisi del rapporto tra uomo, potere e tecnica).
Nel delineare la transizione ecologica l’Instrumentum Laboris (nn. 26-36) indica alcune criticità della tecnologia digitale che vorrei sottolineare (n.33). Le nuove forme di divario digitale non riguardano più soltanto chi conosce e chi non conosce le nuove tecnologie, o chi dispone o chi non dispone della connessione e degli apparati adatti, ma anche chi si trova da un giorno all’altro ad avere competenze lavorative che gli permettono di mantenere un lavoro qualificato, oppure di perderlo, il che spesso significa avere uno stipendio considerevole, o scivolare verso uno stipendio di sussistenza. L’economia digitale è in se stessa fonte di disuguaglianze: disuguaglianze sociali, culturali, economiche. E l’economia digitale non è ormai più soggetta alle regole dell’economia classica, né ai condizionamenti della finanza. Nei primi 10 patrimoni mondiali ben 6 appartengono a persone che operano nel settore delle tecnologie digitali ed è triste constatare che di anno in anno “i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri”. Non è facile pensare che chi domina il mondo digitale si auto-regoli, mentre è sempre più evidente l’impossibilità di “governare la tecnologia” senza una autorità e un insieme di regole condivise a livello mondiale.
LA TRANSIZIONE DIGITALE
Ci sono molti motivi per dedicare alla transizione digitale tuttal’attenzione che merita.
Il primo motivo è che la transizione energetica è proiettata nel futuro, non meno di 20 o 30 anni, mentre la transizione digitale è in corso adesso, con profondi effetti sulla nostra vita di tutti i giorni.
Un secondo motivo riguarda il rapporto tra digitale e ambiente: l’impatto ambientale delle tecnologie digitali ha effetti negativi spesso sottovalutati.
In queste settimane, ad esempio, siamo avvisati da continui messaggi televisivi sulle conseguenze del cambiamento di un protocollo di comunicazione digitale, che comporta la rottamazione di centinaia di migliaia di apparecchi televisivi perfettamente funzionanti. Si pensi anche alla spinta al continuo ricambio di dispositivi elettronici, che comporta lo smaltimento di rifiuti altamente inquinanti.
Quanto al consumo energetico, si stima che il funzionamento della rete consumi ogni giorno circa 4,5 TeraWh e comporti l’emissione di quasi 4 milioni di tonnellate di CO2 (dati internetlivestats). Per un termine di confronto, il consumo giornaliero di energia elettrica in Italia è di un po’ meno di 1TeraWh (dati greenplanner.it) e l’emissione di CO2 si aggira intorno a 1,5 milioni di tonnellate (stime ISPRA).
L’energia necessaria per far funzionare i data-center, l’infrastruttura di rete e tutti i dispositivi connessi, e i computer in uso quotidianamente, rappresentano circa il 5% della richiesta energetica, ma il tasso di crescita è superiore a quello globale, nonostante i miglioramenti dei dispositivi dal punto di vista del consumo di energia. Superfluo sottolineare che ogni ricerca su google, ogni mail inviata, ogni post caricato, ogni film visto in rete contribuisce all’aumento del consumo energetico.
Tuttavia il rapporto tra digitalizzazione, energia e ambiente offre anche numerosi aspetti positivi (https://www.iea.org/reports/digitalisation-and-energy), a cominciare proprio dalla gestione ottimizzata dei sistemi di produzione e distribuzione dell’energia, in particolare nel caso di sorgenti energetiche distribuite sul territorio, utilizzando anche tecniche di manutenzione predittiva guidata da algoritmi di intelligenza artificiale.
Tra i tanti esempi possibili, ne cito alcuni che considero di maggior interesse. Sul sistema logistico e dei trasporti la digitalizzazione apporta effetti positivi, ottimizzando i percorsi e supportando sistemi di guida a basso consumo energetico.
Il lavoro professionale a domicilio, o smart-working, ha un indiretto effetto di riduzione dei consumi legati ai trasporti (che pesano per il 28% sul consumo globale di energia e per il 23% sulle emissioni di CO2), riducendo la mobilità. Sperimentato largamente per necessità durante la pandemia, richiede però revisioni normative, contrattuali e organizzative, a cominciare dalla valutazione per obiettivi, senza le quali non potrebbe diventare una soluzione stabile. Allo stesso modo riducono la mobilità e consentono di risparmiare energia lo svolgimento di riunioni a distanza e le forme di didattica a distanza tanto praticate in questo ultimo anno. Le forme di relazionalità remota ora elencate presentano d’altro canto limiti e inconvenienti che inducono a interrogarsi sulla completa corrispondenza di tali forme di risparmio energetico con l’ “ecologia integrale”, che ha come obiettivo il benessere della persona umana. Da questo punto di vista occorre maturare consapevolezza sul piano culturale e normativo, per far sì che le azioni intraprese mantengano al centro dell’attenzione la persona.
Nella produzione industriale l’incremento di produttività con limitato incremento di consumo energetico, o perfino con qualche forma di risparmio, passa attraverso l’automazione, la robotica, la stampa 3D. Anche nel settore agricolo la digitalizzazione sta offrendo miglioramenti apprezzabili, non solo sul piano logistico, ma anche nella certificazione della qualità sulla filiera,nell’ottimizzazione delle coltivazioni e nel risparmio idrico.
Nell’ambito degli edifici i sistemi digitali di controllo della temperatura e di regolazione dell’illuminazione possono dare un notevole contributo al risparmio di energia.
IL PNRR
L’allocazione delle risorse del PNRR assegna alla transizione energetica, al netto della tutela del territorio, 55 miliardi, mentre alla transizione digitale, considerando anche le voci relative alla gestione della logistica integrata e della digitalizzazione della sanità, vanno 64,5 miliardi.
Sebbene i piani di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione abbiano ricevuto in Italia finanziamenti e risorse fin dal 2000, molto rimane ancora da fare. Quasi sempre per una frammentazione degli interventi con la ripetizione degli stessi investimenti, in molti casi a causa di freni burocratici, in qualche caso a causa di disposizioni legislative che non tenevano conto compiutamente delle potenzialità e dei limiti delle soluzioni informatiche. Senza una semplificazione procedurale e una revisione organizzativa, la sola introduzione di computer, reti e programmi non può dispiegare le sue potenzialità positive. Ancora troppo poco si è fatto sulla interoperabilità dei dati e sulla semplicità dei servizi offerti ai cittadini attraverso la rete, mentre invece troppo si ricorre alla documentazione cartacea, limitando i possibili benefici della gestione digitale dei documenti.
Nella previsione di realizzare i progetti finanziati dal PNRR sarà pertanto cruciale un complessivo assestamento della Pubblica Amministrazione, centrale e periferica.
Il rischio, in caso contrario, è che l’impegno di diffusione della connettività a banda larghissima su tutto il territorio nazionale finisca per beneficiare le attività di “infotainment” a scapito dei servizi produttivi.
CONCLUSIONI
La transizione digitale e la transizione ecologica sono i grandi processi di trasformazione che attendono l’Italia nei prossimi anni. Entrambi presentano complessità e difficoltà da risolvere, al di là delle semplificazioni e degli entusiasmi trasmessi dalla comunicazione pubblica.
La transizione ecologica dovrà misurarsi con la gestione del ciclo dei rifiuti (e il connesso problema dei termovalorizzatori), con l’aumento di fonti energetiche rinnovabili e il mantenimento di livelli di produzione dell’energia adeguati a sostenere i consumi (con la consapevolezza che le fonti rinnovabili non sono in grado di coprire una quota significativa del fabbisogno e andrà, prima o poi, riaperto il tema delle centrali nucleari di nuova generazione), con la riconversione di impianti industriali costosa e che richiede tempi lunghi. Il costo della transizione ecologica appare coperto da nuovo debito pubblico, con il rischio di pesare nell’immediato sui ceti medio-bassi e in futuro sulle nuove generazioni. Si tratta di scelte da affrontare senza veli ideologici, con un pragmatismo orientato però al bene della persona umana. Si possono evitare così riduzioni del tema ecologico alla sola prospettiva ambientalista, recuperandone la valenza squisitamente antropologica (LS n.118).
La transizione digitale è in atto, e si aprono d’ora in avanti le problematiche connesse alla qualità del lavoro, al mantenimento dei livelli di occupazione, alla semplificazione e all’efficienza dei procedimenti amministrativi nella pubblica amministrazione. Vorrei però mettere in evidenza, in conclusione, un aspetto apparentemente culturale ed etico, ma che a mio avviso ha conseguenze notevoli anche sul piano sociale ed economico.
Si sta diffondendo la convinzione che le macchine sono più affidabili degli esseri umani, che gli algoritmi sono in grado di prendere decisioni meglio dell’uomo: si tratti di emettere sentenze in tribunale, di formulare diagnosi mediche, di valutare la solvibilità nell’erogazione di un mutuo o nella concessione di un prestito, di indirizzare gli investimenti o di selezionare un curriculum per l’assegnazione di un posto di lavoro. Si tende ad attribuire all’ Intelligenza Artificiale una oggettività che, viceversa, si ritiene di negare ai decisori umani.
Poiché gli algoritmi sono frutto del lavoro di tecnici e programmatori (anche nel caso “apprendano” nel tempo nuovi criteri decisionali in base all’analisi dei dati ricevuti), in una certa misura gli algoritmi riflettono i criteri valoriali di chi li ha costruiti, sia se seguono una logica centrata su fattori economici o, viceversa, attenta al benessere delle persone.
Tali criteri rimangono però, in un certo senso, “nascosti” dentro il funzionamento delle macchine.
Diventa perciò fondamentale, per un equilibrato sviluppo futuro, che gli operatori informatici ai vari livelli, i legislatori politici e l’opinione pubblica affrontino consapevolmente le difficoltà delle due transizioni parallele, quella digitale e quella ecologica.
Si possono trovare indicazioni preziose nella Dottrina Sociale della Chiesa cattolica, in particolare nella Laudato si’, e nelle riflessioni di Romano Guardini (per chi fosse interessato può trovare spunti di approfondimento in: A. Tomasi, “L’ecologia antropocentrica della laudato si’ e l’umanesimo tecnologico di Romano Guardini”, Rivista Idee, Lecce, 2020; A. Tomasi. “Umanesimo tecnologico: una antropologia per il futuro dell’uomo. La visione profetica di Romano Guardini.” Alpha Omega, v. 22, n.1, 2019).
L’ obiettivo della ecologia integrale disegnato dalla Laudato si’ indica la prospettiva di un ambiente naturale che si integra con l’umano, all’opposto di una concezione ambientalista che tende a subordinare l’uomo all’ambiente. Con la stessa logica di “ecologia integrale” si può affrontare il tema digitale. In questo caso si tratta di integrare con la visione umanistica l’ambiente tecnologico.
In entrambi i casi l’ecologia integrale richiama alla centralità della persona umana rispetto al mondo circostante, ed impegna ad operare affinché tale centralità venga salvaguardata e promossa anche attraverso i processi di transizione in cui siamo, tutti, coinvolti.
Negli ultimi tempi, l'Italia si è distinta come una delle principali destinazioni per gli investimenti nel settore tecnologico, con importanti collaborazioni che stanno plasmando...
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