lunedì, Maggio 20, 2024
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    Nadef, oggi al voto con l’incognita conflitto in Medio Oriente e i nodi inflazione e salari

    Nadef, oggi al voto con l’incognita conflitto in Medio Oriente e i nodi inflazione e salari
    Le tensioni in Medio Oriente e lo scoppio del conflitto fra Israele e Palestina potrebbero influire negativamente sulla prossima legge di bilancio. Uno scenario simile a quello vissuto a inizio 2022 con l’inizio della guerra in Ucraina, che ha destabilizzato l’intera Europa e tutto il mondo. Insomma, un nuovo stato d’incertezza che rischia di rendere ancora più impervio un sentiero considerato già stretto. La stessa Banca d’Italia e la Corte dei Conti, infatti, non hanno nascosto serie preoccupazioni, soprattutto rispetto alla necessità di rivedere i numeri fissati.
    Proprio il presidente del Cnel Renato Brunetta ha invitato a fare un ragionamento anche in vista dell’appuntamento del 16 ottobre quando il Governo manderà a Bruxelles la tabella con i saldi. Il conflitto israelo-palestinese, infatti, rischia di produrre effetti «ancor più squilibranti» della guerra in Ucraina, soprattutto sul piano energetico. E la «serietà» di questa Nadef, che fa fra l’altro farà i conti con l’inflazione e il Superbonus ed esclude manovre espansive per i prossimi anni, «potrebbe non essere sufficiente», osserva l’economista, che cita anche le mosse tardive della Bce: servirà un «sovrappiù di responsabilità».
    La stessa Banca d’Italia ha evidenziato che i rischi che gravano sull’attività economica sono già di per sé «elevati e orientati al ribasso» e «le tensioni geopolitiche – legate sia al conflitto in Ucraina sia ai feroci attentati dei giorni scorsi in Israele – generano forte incertezza sulle prospettive di crescita». Insomma, siamo davanti ad un contesto «fragile», che richiede una politica di bilancio condotta con «estrema prudenza», ha detto il capo del Dipartimento di Economia e statistica Sergio Nicoletti Altimari, sottolineando come il quadro macroeconomico prefigurato nella Nadef sia «plausibile» ma «leggermente ottimistico». Il focus più preoccupante riguarda soprattutto l’elevato rapporto tra il debito pubblico e il Pil: «Un serio elemento di vulnerabilità», che «riduce gli spazi di bilancio per fare fronte a possibili futuri shock avversi».
    Stessi scetticismi anche da parte della Corte dei conti: «Il perdurante stato di incertezza del quadro generale colloca ora la posizione debitoria del nostro Paese su un sentiero molto stretto», ha dichiarato il presidente Guido Carlino, sottolineando la necessità di un «attento monitoraggio» affinché la «pur modesta» riduzione del debito/Pil programmata per il triennio «sia effettivamente conseguita». Nel complesso, il quadro economico, «pur confermandosi in territorio positivo, registra un peggioramento» per incertezze che vanno dal contesto geopolitico all’inflazione, osserva la Corte dei conti.
    E proprio riguardo la manovra 2024 la magistratura contabile ha fatto notare la mancanza, nella nota di adeguamento, della definizione e quantificazione degli interventi e delle relative coperture, avverte sulle privatizzazioni (l’1% di Pil richiederebbe uno «sforzo notevole»), lanciando un monito sulla sanità: il quadro sulla spesa risulta «stringente», ma servono interventi urgenti e questo «richiederà scelte non facili».
    Già tutte le criticità erano infatti emerse a prescindere dalla guerra, ma la situazione ora resta ancor più critica: «Gli indicatori più recenti suggeriscono per i prossimi mesi il permanere della fase di debolezza dell’economia», ha detto il presidente facente dell’Istat Francesco Maria Chelli. A fat storcere il naso ci sono infatti le condizioni di accesso al credito più rigide per famiglie e imprese (ma la Banca d’Italia esclude un credit crunch) e il lento recupero del potere d’acquisto delle famiglie. A preoccupare è poi l’inflazione: a settembre «oltre il 58%» degli aggregati usati per l’indice «evidenzia un incremento dei prezzi uguale o superiore al 10% rispetto al 2019». Ed infine la situazione non può non tener conto dei salari: il loro livello reale è sceso sotto quello del 2009 e da allora il divario di crescita tra prezzi e retribuzioni contrattuali è stato di 12 punti.
    Andrea Valsecchi

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