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    In Cina crescono i casi Covid: proteste in piazza

    In Cina crescono i casi Covid: proteste in piazza
    Negli scorsi giorni una rapida impennata del numero di positivi al Covid in diverse città cinesi, dove i casi (oltre 40mila) continuano a crescere per il quinto giorno consecutivo. I cinesi scendono in piazza a Shanghai, Pechino, Wuhan e Chengdu per protestare contro la politica “zero Covid” che ha imposto duri lockdown e restrizioni per arginare la diffusione. In alcuni casi le limitazioni vengono allentate già da oggi o i prossimi giorni, ma le tensioni rimangono alte.
    Sono molte le proteste che si stanno verificando in alcune città cinesi in questi giorni, dopo che i governi di alcune di esse, tra cui Pechino e Guangzhou, hanno messo in atto la cosiddetta strategia “zero Covid”, con cui provano a limitare e eliminare ogni focolaio con lockdown durissimi e test di massa.
    In particolare, le proteste degli ultimi giorni arrivano in conseguenza della morte di almeno dieci persone venerdì a Urumqi, nello Xinjiang, per un incendio di un edificio da cui si ritiene che molte persone non siano riuscite a scappare proprio a causa delle restrizioni contro il coronavirus. Nelle serate di sabato e domenica le proteste più intense sono state a Shanghai, dove centinaia di persone, molte delle quali descritte come non ancora trentenni, si sono radunate in una via che deve il nome alla città di Urumqi.
    La quantità e il tenore di tali manifestazioni, va detto, ha un che di eccezionale, dopo che dalla fine del 2019, quando è scoppiata la pandemia, il popolo cinese si era dimostrato essere il più “precauzionale” nei confronti del contagio (per non dire che in Cina il dissenso è sempre stato sistematicamente represso). Ora, però, a quasi 3 anni di distanza, la maggioranza dei cittadini protesta per le restrizioni troppo dure. A Shanghai molti manifestanti avevano in mano fogli bianchi – in Cina il bianco è un colore di lutto, ma è diventato anche il simbolo della censura – e sono stati intonati diversi canti contro il presidente Xi Jinping e il Partito comunista cinese. La polizia ha disperso i manifestanti e, secondo quanto raccontato da alcuni testimoni, fermato e portato via alcune persone. Ci sono stati anche alcuni sporadici scontri tra manifestanti e polizia.
    Negli ultimi giorni sembra che le proteste abbiano prodotto qualche effetto in termini di allentamento delle restrizioni. A Urumqi, a partire da oggi, i residenti (alcuni dei quali sono stati confinati nelle loro case per settimane) potranno viaggiare in autobus per fare acquisti nei loro quartieri, come hanno annunciato i funzionari in una conferenza stampa di ieri. Le consegne dei pacchi potranno riprendere, ma i lavoratori della logistica dovranno rimanere “chiusi nella bolla” nei dormitori aziendali.
    Ciò non toglie che permangano alcune consuete ambiguità nell’operato del governo cinese, come il caso di Ed Lawrence, giornalista della Bbc che negli scorsi è stato arrestato a Shanghai e trattenuto per diverse ore prima di essere rilasciato. Funzionari cinesi hanno detto che Lawrence è stato arrestato per precauzione, nel caso in cui avesse contratto il Covid-19 dalla folla, una spiegazione che la Bbc sostiene non credibile.
    E sull’episodio di Urumqi, il governo cinese si è espresso dicendo che non ci sarebbe alcun collegamento tra i morti dell’incendio e le restrizioni anti-Covid, mentre sarebbero “forze con secondi fini” a voler collegare i due aspetti. Ma sicuramente c’è ancora molto da indagare.
    Pietro Broccanello

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