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sabato, Luglio 27, 2024
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    Perché non sfruttiamo il nostro metano?

    Perché non sfruttiamo il nostro metano?
    Il metano presente nel sottosuolo nostrano costa un decimo di quello importato, ma diversi giacimenti sono bloccati da anni a causa di norme e divieti.
    Sotto i nostri mari sono presenti almeno 90 miliardi di metri cubi di metano, il meno inquinante tra i combustibili fossili.
    Il suo costo di estrazione è pari a circa 5 centesimi al metro cubo, notevolmente inferiore, quindi, rispetto ai 50-70 centesimi al metro cubo sui quali si attesta il prezzo di mercato del gas che l’Italia importa da Paesi come Russia ed Algeria.
    Il quantitativo di metano che giace nel nostro sottosuolo, peraltro, è di gran lunga superiore alla stima pubblicata nel Pitesai (“Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee”, introdotto dal Governo Conte I nel 2018 come piano regolatore delle trivelle) redatto dal Ministero della Transizione Ecologica: tale documento, infatti, si limita al conteggio delle riserve accertate, non potendo immaginare quelle ancora da scoprire.
    Le ricerche di nuovi giacimenti, tuttavia, sono al palo: un immobilismo destinato a perdurare fino a quando il Pitesai, ora all’esame della Conferenza Unificata, non verrà emanato, dando così impulso (si spera) ad investimenti nelle operazioni di ricerca di ulteriori riserve di gas.
    Il nostro Paese brucia tra i 70 ed i 75 miliardi di metri cubi di metano all’anno; da Gennaio a Settembre 2021 abbiamo utilizzato 53,2 miliardi di metri cubi (in aumento del 6,8% rispetto allo stesso periodo del 2020), appena 2,48 dei quali estratti da giacimenti nostrani, dato che fa registrare un calo del 20,2% sul 2020.
    Secondo uno studio presentato da Assorisorse, associazione che riunisce le industrie del settore minerario, geotermico, degli idrocarburi e del gas naturale, bisognerebbe investire 322 milioni di euro per raddoppiare la produzione dei giacimenti, sia sulla terraferma sia nell’Adriatico, dell’Emilia-Romagna, portandola da 800 milioni a 1,6 miliardi di metri cubi annui.
    Traslando l’analisi su scala nazionale, possiamo dunque affermare che con un investimento di 2 miliardi di euro riusciremmo ad estrarre circa 10 miliardi di metri cubi all’anno per dieci anni: un contributo rilevantissimo per le casse dello Stato, le nostre imprese e la lotta al cambiamento climatico.
    Sì, perché se il metano è, come detto, il meno inquinante tra i combustibili fossili, è altrettanto doveroso sottolineare che, quando non viene bruciato e scorre, incombusto, attraverso tubature che si srotolano per migliaia di chilometri, si trasforma in uno dei più feroci antagonisti della succitata lotta, essendo, ad esempio, decine di volte più riscaldante rispetto alla CO2.
    Le motivazioni, insomma, sono varie e tutte di grande spessore: non resta che passare, quanto prima, ai fatti.

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