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    Università e covid: la reazione degli ingegneri del Politecnico

    Università e covid: la reazione degli ingegneri del Politecnico
    Dopo un anno dallo scoppio della pandemia, il covid ha avuto la meglio contro le università? Non al Politecnico di Milano. Il racconto di due studenti.

    Per molti mesi e forse ancora adesso, l’università è stata la grande assente del dibattito pubblico. Il covid ha fatto emergere chiaramente le priorità della classe politica: dalle continue chiusure/riaperture di diversi comparti, con alcuni settori più rilevanti di altri, alla necessità di erogare ristori. Eppure l’università, che per molti rappresenta l’ultimo passo prima di entrare nel mondo del lavoro, non è rimasta immobile nell’ultimo anno. Anzi, in alcuni casi sono nate esperienze di collaborazione che hanno molto da insegnare anche ad altre realtà.

    L’Informatore ha raccolto le voci di due studenti del Politecnico di Milano che hanno deciso di raccontare cosa è successo nella loro università da quando è scoppiata la pandemia. L’inizio ovviamente è stato traumatico: la chiusura improvvisa ha costretto tutti ad arrangiarsi nell’immediato e alla fine durante il primo lockdown sono partite le lezioni a distanza, con i disagi che tutti hanno sperimentato nei primi mesi di covid.

    Marco Guerini, studente ingegneria gestionale all’ultimo anno della triennale e rappresentate di Lista Aperta, racconta come sia iniziato un dialogo proficuo tra studenti e docenti in cui sono state messe in luce le nuove esigenze emerse col covid. “È stato un confronto sincero in cui abbiamo cercato di guardare anche ai fattori positivi della didattica a distanza – spiega Guerini – Da una parte il fatto che prima del coronavirus spesso le aule erano strapiene e quindi chi era in fondo aveva difficoltà a leggere le scritte sulla lavagna. Dall’altra parte i ragazzi hanno trovato maggiore disinvoltura nel fare domande ai professori in chat”. Tuttavia dopo qualche mese tra gli studenti è emerso un sentimento chiaro e condiviso che Marco definisce “being lost”.

    Ecco allora che dal confronto coi professori nasce un documento chiamato “Analisi, visioni e proposte per la ripartenza”. Il cuore di questa iniziativa parte da una consapevolezza chiara, cioè che “l’università non può prescindere dall’esperienza in presenza” spiega Matteo Oggioni, al terzo anno di ingegneria dell’automazione e rappresentate degli studenti in Senato Accademico.

    Il documento si fonda su tre pilastri: didattica, diritto allo studio e la gestione degli spazi. Si è cercato dunque di coniugare i vantaggi della distanza per le lezioni teoriche con la necessità di portare in aula i momenti di laboratori e workshop nel momento in cui la situazione pandemica lo ha permesso. Così come la necessità di garantire il diritto allo studio e dunque a degli spazi in cui potesse fiorire il rapporto tra gli studenti.

    Il dialogo con l’amministrazione del Politecnico ha dato i suoi frutti. Il Rettore Ferruccio Resta ha deciso di compiere un investimento da tre milioni di euro per acquistare telecamere da mettere in tutte le aule che tracciavano il docente, il quale faceva lezione in aula, e zommavano sulla lavagna in modo da poter portare a settembre 2020 il 50% degli studenti in aula ma allo stesso tempo garantire una lezione comprensibile anche a chi era rimasto a casa, magari nella propria regione a centinaia di kilometri di distanza.

    Poi è arrivata la batosta autunnale: secondo lockdown. Ma anche in questo caso la reazione è stata celere. A novembre sono cominciati diversi tavoli di lavoro: un appuntamento ogni venerdì per sette settimane con l’obiettivo di ragionare su un’esigenza comune a tutti i livelli: come strutturare l’università dei prossimi anni? Il dialogo in realtà prosegue ancora oggi e questa stretta collaborazione docenti-studenti ha dato chiari frutti. Il 23 febbraio 2020 infatti il Politecnico di Milano, come tutte le altre università, ha dovuto chiudere, ma dalla fine del primo lockdown fino ad oggi è stata garantita la possibilità di studiare in università, al contrario di altri atenei che sono rimasti completamente chiusi dodici mesi. “A settembre – racconta Marco – il 70% delle matricole del Poli era a Milano e hanno potuto conoscere i loro compagni”.

    Quali sono dunque le prospettive per il 2021 e per i prossimi anni? Per Matteo “bisogna rimettere al centro l’università”, un impegno che deve riguardare tutti i livelli della politica: comunale, regionale, nazionale. “La sensazione è che spesso il Politecnico abbia le mani legate rispetto a ciò che può fare”. Sicuramente lo scopo non è quello di tornare alla “normalità” pre covid ma allo stesso tempo l’insegnamento più chiaro di questi mesi è “la riscoperta del valore dell’università – sottolinea Marco – Non solo come luogo di passaggio di contenuti, ma come realtà in cui si fa esperienza e conoscenza di docenti, compagni, stranieri, un’occasione di crescita culturale e personale centrale per la formazione di uno studente”.

    L’augurio è quello di vaccinare il più velocemente possibile il personale universitario così come gli studenti. Da venerdì 5 marzo è partitala distribuzione di dosi alle università: saranno medici e infermieri degli atenei i responsabili delle inoculazioni, un processo che nella sua prima fase dovrebbe coinvolgere 15mila soggetti tra cui docenti, assegnisti, borsisti, dottorandi e personale amministrativo.

    Simone Fausti

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