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    Rinunzie e transazione in ambito giuslavoristico.

    Rinunzie e transazione in ambito giuslavoristico.

    Nel nostro ordinamento il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore è caratterizzato da numerose tutele e diritti in favore della parte cosiddetta “più debole”.

    Tali tutele si declinano in diversi ambiti della vita lavorativa, a partire dalla pattuizione relativa alla retribuzione in sede di assunzione (che non è liberamente determinabile dalle parti) fino al licenziamento (che la legge prevede può essere comminato soltanto a fronte di una giusta causa ovvero di un giustificato motivo soggetto e/o oggettivo).

    Un’ulteriore tutela prevista in favore del lavoratore e che l’imprenditore deve tener ben presente è disciplinata dall’art. 2113 rubricato “rinunzie e transazioni” inserito nel Libro V del codice civile.

    In proposito occorre fare un distinguo: (1) la rinunzia è un negozio unilaterale recettizio finalizzato alla dismissione di un diritto mentre (2) la transazione è un contratto con il quale le parti, a fronte di reciproche rinunzie, definiscono una controversia ovvero la prevengono.

    Con riferimento, appunto alle rinunzie e transazioni che vedono coinvolto un lavoratore, l’art. 2113 cod. civ. prevede che «[1] Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide. [2] L’impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima [3] Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà. [4] Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile».

    Dalla lettura di tale norma emerge che di regola la rinunzia o la transazione posta in essere da un lavoratore non è valida, a meno che tale atto non sia intervenuto:

    • in sede di conciliazione promossa innanzi le commissioni istituite presso gli Ispettorati del Lavoro (art. 411 cod. proc. civ.);
    • in sede sindacale (art. 411 cod. proc. civ.);
    • in caso di conciliazioni ed arbitrati svolti con le modalità stabilite dai contratti collettivi (art. 412-ter proc. civ.);
    • in caso di conciliazioni ed arbitrati svolti innanzi al collegio di conciliazione ed arbirato irrituale (art. 412-quater proc. civ.);
    • innanzi al giudice davanti al quale è pendente l’eventuale controversia (art. 420 cod. proc. civ.)

    ovvero

    • siano trascorsi sei mesi dalla sottoscrizione.

    Sono altresì validi gli atti certificati presso le commissioni di certificazione del rapporto di lavoro (art. 82 D.Lgs. 276/2003) e la cosiddetta conciliazione standard o agevolata (art. 6 D.Lgs 23/2015).

    Da ultimo occorre rilevare che la tutela ex art. 2113 cod. civ. si applica soltanto ai diritti derivanti da disposizioni inderogabili di legge o dei contratti collettivi di lavoro (si pensi ad. es. alle differenze retributivi), e non a tutti i diritti del lavoratore (quali per es. il diritto al risarcimento del danno all’immagine).

    avv. Nicola A. Maggio

    n.maggio@pmslex.com

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