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    Smart Working: è ancora polemica sulle dichiarazioni di Sala

    Smart Working: è ancora polemica sulle dichiarazioni di Sala

    Sul piede di guerra cittadini comuni, opposizione e sindacati. L’assessore al Lavoro, Cristina Tajani: “No, non è stata una lunga vacanza”. E Beppe Sala scrive la sua apologia al Corriere della Sera.

    C’è chi lo invocava da tempo, chi lo vede come la nuova frontiera del lavoro, chi invece è più cauto e attende una regolamentazione. Quello che è certo è che il tema dello smart working continua a tenere banco, soprattutto dopo l’esternazione critica del sindaco milanese Beppe Sala affidata al quotidiano videomessaggio social alla città. Quel “È arrivato il momento di tornare a lavorare, perché l’effetto grotta per cui stiamo a casa, prendiamo lo stipendio e poi…ha i suoi pericoli”, proprio non è andato giù non solo ai milanesi – che si sono sentiti dare sostanzialmente dei fannulloni – ma nemmeno agli stessi membri della giunta Sala, come l’assessore al Lavoro Cristina Tajani che resta tra le sostenitrici del lavoro agile. Sul piede di guerra anche l’opposizione, che ha chiesto conto in aula consiliare degli esiti dello smart working dei dipendenti comunali, e i sindacati che invece invocano l’apertura di un confronto per definire le modalità organizzative, equilibrandone pregi e difetti.

    Parole pesate male? Probabilmente sì, l’intento malriuscito del primo cittadino era quello di mettere in evidenza i rischi insiti nello smart working, spostando l’attenzione sulle difficoltà economiche delle attività commerciali cittadine, legate in larga misura alla chiusura degli uffici, e sul pericolo che alcune aziende possano sfruttare l’occasione per adottare piani di ridimensionamento degli organici e delle strutture. Quello che è stato colto, invece, è la velata equivalenza secondo la quale il lavoro agile di fatto non possa essere considerato lavoro a tutti gli effetti. “No, non è stata una lunga vacanza” è stata la replica dell’assessore Cristina Tajani che, invitando ad un sano dibattito, ha aggiunto: “Cosa diventerà il lavoro agile dipende dalle scelte che facciamo oggi”. E per poggiare la discussione su dati ed evidenze, ha portato i risultati della survey condotta su 6828 dipendenti comunali in smart working, evidenziando l’altissimo grado di apprezzamento verso questa modalità lavorativa, sebbene in una condizione fuori dall’ordinario, e numeri significativi relativi agli indicatori di produttività. Insomma, non proprio fannulloni. L’auspicio è che si possano “fare passi in avanti verso un’organizzazione del lavoro e della città più vicina alle esigenze delle persone e dei lavoratori”.

    Intanto Sala, onde fugare ogni possibile fraintendimento, ha affidato – questa volta non ai social – al Corriere della Sera una lunga lettera nella quale ha cercato di fare chiarezza una volta per tutte sul senso delle sue affermazioni. “Lo smart working non è solo una grande opportunità, ma rappresenta un vero e proprio cambio di paradigma dell’organizzazione del lavoro”, avvenuto però in maniera troppo repentina, “senza una gestione ordinata del processo di transizione”, ha scritto. Per questa ragione ha ipotizzato un “nuovo Statuto dei lavoratori” nella nuova era digitale, all’interno del quale far rientrare lo smart working, inteso come “strumento fondamentale per costruire un nuovo modello di sviluppo, ma che non può essere preso in considerazione senza valutare anche tutti gli effetti collaterali e le ripercussioni sulle città”. Non un tema isolato, quindi, ma affrontato nel suo complesso. E sull’esternazione dei giorni scorsi ha precisato: “Il mio invito a tornare al lavoro, o meglio a tornare ai propri posti di lavoro, in persona, guarda alla complessità di tutto questo”, riportando il focus sulle difficoltà economiche di diversi comparti che a seguito della crisi sanitaria faticano a rialzarsi e potrebbero ricevere il colpo di grazia da scelte sbagliate, così come sul timore che possa aumentare la disoccupazione dovuta ai “piani di efficientamento” portati avanti da alcune aziende.

    Di qui il rinnovato invito: “Bisogna ricominciare a fidarsi”, con le necessarie cautele e attenzioni, ma è necessario “tornare a riprendere la ricchezza delle nostre vite, che è anzitutto l’insieme di relazioni che intratteniamo”. E ha concluso: “Una città, resa fantasma, è un incubo inaccettabile. Riprendere la vita vivente: ho inteso dire questo”.

    Micol Mulè

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