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No, coinvolgere i lavoratori nella governance aziendale non è un grande idea

No, coinvolgere i lavoratori nella governance aziendale non è un grande idea
Chi non ha mai fatto politica o non si è aggrappato disperatamente a qualche idea in gioventù non conosce molti crucci. Ma si perde anche qualche bel momento. Tipo quando riemerge la sua prima polemica col proprio partito, gruppo o circolo di intellettuali. La cooptazione dei lavoratori nelle scelte d’impresa ha, per me, questo fascino: quando a vent’anni discutevo in sede, durante le riunioni di Azione Giovani, questo era uno dei primi punti di dissenso. Quindi, sentito che la CISL l’aveva riesumata, ho provato un momento di nostalgia e poi ho rispolverato le armi (dialettiche).
Alcune premesse teoriche: hanno ragione i sindacalisti a dire che stanno dando concretezza al dettato costituzionale. Questa idea, infatti, nasce con la Repubblica Italiana. Pertanto non si sta tentando nulla di rivoluzionario o eversivo. Ciò non toglie che questa idea fosse sbagliata 80 anni fa così come lo è oggi. Seconda premessa: il disegno di legge della CISL, molto correttamente, impone poco. Regola solo centralmente il fenomeno. E questo risolve il primo e più importante punto di polemica: non siamo davanti a un esproprio sotto altro nome. Inoltre la CISL, che pure avrebbe ben altri strumenti di pressione, sceglie la legge di iniziativa popolare, sfidando il fatto che in 78 anni quelle poi approvato totalizzano all’astronomico totale di sette. Su 260 proposte presentate dopo il 1979. Insomma non una grossa probabilità di vederla approvata.
Perché, quindi, accanirsi? Perché la politica, persino quella economica, non può vivere di numeri senza principi. Lo diceva anche Margareth Thatcher: “L’economia è il mezzo per cambiare l’anima di un popolo”. E qui c’è un enorme equivoco di fondo. L’equivoco è credere che perdere il lavoro e perdere l’azienda siano la stessa cosa. L’imprenditore guadagna sul rischio grazie alla propria capacità di creare un, soddisfare il e sopravvivere nel mercato. Investe soldi, tempo, vita e speranze saltando nel vuoto, nella certezza che riuscirà a costruire un aereo prima di schiantarsi (la citazione originale è di Reid Hoffman, fondatore di Linkedin). Il dipendente è colui che, legittimamente, si aspetta che gli siano pagate le ferie quando l’azienda sta fallendo. E che, ancora una volta legittimamente, usufruendo solo di strumenti messi a disposizione dalla legge, può passare mesi fuori dall’azienda, pretendendo, a ragione, che la risorsa formata per prendere il suo posto sia lasciata a casa quando torna.
Sia chiaro, qui stiamo parlando in generale. Perché “in generale” è come parlano le leggi. Se una società ha dei dipendenti straordinari e degli imprenditori illuminati può già consultarli prima di ogni grande decisione. Può averli nei CdA. Può cedere loro quote o azioni. Mettere un limite minimo di posti nel CdA (art. 3 del ddl Cisl) del 20%, non aiuta il discorso. Ma, più in generale, non ne ha una legge che standardizzi delle pratiche. Le imprese sono un mondo variegato e ognuna viene condotta diversamente. Il principio base però sul CHI debba guidarle è sempre e solo uno: chi ha rischiato per aprirla. Chi, in caso di fallimento, rischia di perdere anche la vita, la famiglia, l’intero mondo.
Quanto ho appena scritto non c’è nella costituzione nata dall’antifascismo e votata dal più forte partito comunista del mondo occidentale. E credo nessuno di voi se ne stupirà. Ciò che è stupefacente è che per più di tre quarti di secolo siamo riusciti a impedire che il principio opposto, ovvero la cogestione imposta dallo stato e vigilata da Carabinieri armati, fosse implementata. Per carità, restiamo ancora un paese dove il socialismo ha vinto cambiando nome ogni decennio, ma mantenendo gli obiettivi ben fermi (oggi lo stato intermedia la maggior parte della ricchezza. E cos’è questo, se non socialismo reale?). Ma almeno negli angoli, negli scorci, nei cantucci dove la libertà, come il fiore ostinato che rompe la colata lavica, è riuscito a spuntare possiamo, per favore, evitare di cementificare?
E’ una questione, sia chiaro, solo di principio perché nella pratica, che passi o meno, la stragrande maggioranza della gente (contando che lavora meno del 40% della popolazione) non se ne accorgerà. Ma se passasse perderemmo uno degli ultimi presidi di libertà per gli imprenditori. E, francamente, non siamo, come paese, in grado di permettercelo.
Luca Rampazzo, CEO TM Consulting

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