UNA NUOVA LEGGE DI GARANZIA DELLA LIBERTA’ RELIGIOSA IN ITALIA. LE PROPOSTE DELLA DOTTRINA ECCLESIASTICISTA.
VERONA – Gennaio 2023
1. Introduzione
– La garanzia della libertà religiosa nel nostro Paese costituisce ancora a settantacinque anni dalla entrata in vigore della Costituzione della Repubblica un tema distringente attualità. Essa si sostanzia nell’ assicurare illibero esercizio in forma individuale e associata della fede religiosa, essendo il fondamento di tutte le altre libertà, come ha affermato il Santo Padre Giovanni Paolo II, nel Messaggio per la celebrazione della XXI Giornata Mondiale della Pace. La libertà religiosa, condizione per la pacifica convivenza. (P. Cavana 2017, 2).
Il tema si interseca con quello della laicità per cui un autore si è chiesto “siamo, cioè sicuri che la dimensione materiale del diritto costituzionale di libertà religiosa –ascrivibile al piano della società e, quindi dei suoi incessanti mutamenti- ha trovato adeguata rappresentazione in quella formale –?” (G. Macrì 2022a, 84).
Lo stesso interprete aveva auspicato la costruzione di un quadro legale del fenomeno religioso improntato ai principi del pluralismo democratico, poiché nel mentre la società italiana si era laicizzata e aperta all’Europa,sul fronte della libertà religiosa e sul piano dei rapporti tra Stato e confessioni religiose, eravamo rimasti fermi al principio confessionista di cui all’art. 1 del Trattato lateranense del 1929. Questo perché “il compromesso costituzionale non riesce, però ad espungere il modello concordatario dal perimetro di norme riservate dalla Carta repubblicana al fattore religioso escogitando, in forma compensativa per le confessioni religiose diverse dalla cattolica uno strumento – le intese – che nelle intenzioni dei padri costituenti avrebbero dovuto servire ad assicurare loro il diritto alla differenza (l’abito su misura per dirla con Peyrot), ma che nei fatti ha dato vita a un diritto ecclesiastico distinto esottorappresentato” (G. Macrì 2022 b, 85).
Il modello confessionista aveva dunque da un lato rappresentato, nel percorso storico repubblicano, un forte momento identitario nella costruzione delle relazioni tra le confessioni e tra lo stato e le confessioni,dall’altro aveva pagato il prezzo di una marginalizzazione del diritto ecclesiastico con unaamministrativizzazione della prassi giuridica del fenomeno religioso, anche per la perdurante applicazione della legge 1159 del 1929 e del suo regolamento di attuazione (R.D., n. 289 del 1930). Un lento abbandono del modello confessionista non è stato compensato da una consapevolezza nella classe politica dei nuovi valori e fini che “conformano il ruolo dellareligione nello spazio pubblico di uno stato democratico e pluralista”. (G. Casuscelli 2017 a, 3). Si era auspicata pertanto una legge nuova che regolasse il delicato tema della libertà religiosa, per superare un vuoto normativo lungo decenni impegnando “ogni forza politica, che ambisca al governo proficuo delle istituzioni e al progresso democratico della società civile, a colmarlo in applicazione di basilari principi di giustizia” (G. Casuscelli 2017 b, 4).
Questo ultimo autore sottolineava che ciò era resourgente da una accresciuta ansia per la sicurezza a seguito di attentati terroristici di matrice religiosa, da una perdurante crisi economica, che aveva acuito il default dello stato sociale, condotto alla rinuncia a garantire un minimo di prestazioni sociali, condizionenecessaria ad assicurare l’effettività dei diritti fondamentali della persona, alle migrazioni che mettevano alla prova i principi di uguaglianza e solidarietà infine per la diffusione di populismi dal profilo identitario e xenofobo alimentato da forze politiche che esaltavano un confessionismo di costume. (G. Casuscelli 2017 c, 6).
Questo scritto intende rappresentare i motivi e le forme possibili di nuove modalità di tutela giuridica dellalibertà religiosa in Italia, riflettendo sui tentativi e le proposte fino ad oggi realizzate di modifica delle fonti del diritto in questa materia.
2. Perché una nuova legge sulla libertà religiosa
Si è sostenuto che la applicazione pur residuale della legge sui culti ammessi, tanto anagraficamente che nei suoi contenuti normativi, fosse incompatibile con la forma costituzionale dell’Italia repubblicana. La legislazione vigente realizzava una frammentazione e una mimetizzazione “all’interno delle riforme di settore del diritto comune, delle risposte normative offerte a istanze di libertà di coscienza e religione avanzate sul nostro territorio da cittadini, stranieri, apolidi e rifugiati, anche nella forma positiva della domanda di riconoscimento”. (S. Domianello 2017 a, 1).
Si trattava pertanto di superare da un lato irragionevoli discriminazioni e dall’altro veri e propri buchi normativi cioè vuoti di tutela giuridica. La studiosa citata auspicava la realizzazione di “un’opera di ricostituzione dell’ordine all’interno (delle fonti) del nostro sistema costituzionale, con la conseguenza che esso, per quanto potrà farsi carico anche della (diversa e ulteriore) esigenza di riduzione a testo unico delle disposizioni esistenti, sparse alla rinfusa qua e la per tutto l’ordinamento, non potrà in nessun caso ridursi a un’opera di semplice messa in ordine all’interno di norme sparpagliate”. (S.Domianello 2017 b, 2).
– La speranza dunque auspicata dalla migliore dottrinaera quella di un intervento profondo, ampio, articolato di riforma organica nella materia, superando un modello inadeguato nella struttura e non conforme a costituzione nel suo contenuto.
Altro autore (L. De Gregorio 2020 a, 69) ricordava la lungimiranza dell’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, Bettino Craxi che manifestava, già nel 1984, in interventi ripetuti alla Camera e al Senato della Repubblica, la preferibilità di una opzione in cui si dovesse elaborare (nell’intervento si riportavano le parola dello statista, citate integralmente) : “ una normativa di diritto comune, destinata quanto meno a regolare interessi non disciplinati o non disciplinabili sulla base di previe intese, la quale in attuazione dei generali principi della Costituzione in tema di solidarietà sociale, di eliminazione degli ostacoli che impediscono l’effettivo esercizio della libertà e il conseguimento dell’eguaglianza giuridica, consenta di parificare tali religioni e i loro istituti ad altri organismi sociali” ( così : On. B. Craxi).
Un intervento dunque che, acutamente, già nella temperie del dibattito sulla riforma del Concordato lateranense, prefigurava problemi e limiti di natura sociale e giuridica che successivamente si sarebbero pienamente e compiutamente manifestati.
Nel dibattito politico e giuridico si sottolineava come la legge da emanare, avrebbe configurato una regressione costituzionalmente inammissibile se si fosse tramutata in un eventuale sindacato volto ad accertare lacompatibilità, con l’ordinamento statale dell’ideologia religiosa professata, alla stregua di parametri extracostituzionali come, ad esempio, i valori o l’identitàdella nazione o la civiltà giuridica italiana o la stessa consistenza numerica della confessione regolamentata. (N. Colaianni 2007 a, 5).
Recentemente su una nota rivista di diritto ecclesiastico (Stato e Chiese e pluralismo confessionale 2021, 7) si poneva il dubbio se “i soggetti politici abbiano gli strumenti necessari ad affrontare un piano generale di rifondazione del nostro diritto ecclesiastico, per usare una formula di comodo, che – alla luce dei principi già ricordati – colmi la lacuna nell’attuazione dell’accordo di modificazione del 1984 in ordine alla legge matrimoniale ; proceda alla abborracciata disciplina degli enti ecclesiastici e delle attività diverse ; alla correzione delle distorsioni del finanziamento pubblico delle confessioni”.
3. Le prime proposte di legge di regolamentazionedella materia.
Solo nel 1990 l’invito formulato nel 1984 fu raccolto. Durante la X legislatura il Consiglio dei Ministri approvava, sia pure senza portarlo in Parlamento, un disegno di legge recante “Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi.” Tale articolato sanciva l’abrogazione della legge n. 1159 del 1929 e del regio decreto n. 289 del 1930 e regolamentava il procedimento per la stipula delle intese con disposizioni di attuazione del diritto di libertà religiosa come garantito dalla Costituzione. Il testo era diviso in cinque capi (I. Libertà di coscienza e di religione – II. Confessioni e Associazioni religiose – III.Stipulazione di intese – IV. Reati contro la libertà di coscienza e di religione – V. Disposizioni transitorie e finali). Tale impostazione sarà seguita nel disegno di legge n. 3947, presentato dal Presidente del Consigliodei Ministri, Romano Prodi durante la XIII legislatura e nel corso delle legislature XIV e XV. Nella prima di queste legislature venivano presentati progetti di legge di iniziativa di singoli deputati (nn. 1576, 1902,6096), nella seconda anche altri sempre di iniziativaparlamentare (nn. 36, 134,945,1160). Il disegno di legge n. 36 costituiva l’iniziativa del deputato Marco Boato e quella n. 134 dei deputati Valdo Spini e altri.
Commentando queste due ultime proposte di legge, un autore spiegava che occorresse tenere fermi alcuni principi nel regolare il tema della libertà religiosa.Innanzitutto, il punto di vista per cui si dovesse perseguire il senso della unilateralità della legge, lontana la sua elaborazione da ogni forma di consociativismo con le confessioni religiose. La negoziazione legislativa nel settore della libertà di religione era voluta e di fatto attuata, per espressa previsione costituzionale. Le confessioni in quanto istituzioni deputate all’organizzazione della pratica religiosa, non erano ormai rappresentative della maggioranza della popolazione, data la prevalenza di cittadini non praticanti se non proprio non credenti e agnostici, mentre la legge avrebbe dovuto esser destinata a garantire anche la libertà di questi ultimi. Altro canone da seguire doveva poi essere quello di evitare ogni eccesso di potere legislativo consistente nel non tenere in conto l’elaborazione giurisprudenziale in materia o l’utilizzare la legge in funzione tattica, per perseguire lo scopo di porre un argine alla invasione di nuovi movimenti religiosi o dell’Islam (N. Colaianni 2007 b, 4).
Durante la XVII legislatura rimaneva senza seguito la presentazione dei progetti di legge nn. 2939, 4650,4667 che non furono neanche esaminati dalle competenti commissioni.
La maggior parte dei progetti di legge sulla libertà religiosa non avvertiva la necessità di disporre anche in materia di laicità; gli unici articoli sul tema si presentavano con formulazioni differenti sul rapporto tralaicità e libertà religiosa. (L. De Gregorio 2020 b, 75).Dopo attente considerazioni, si sottolineava pertanto,nello scritto ora citato, se non fosse il caso di emanare due diverse normative, una sulla libertà religiosa e una sulla laicità (L. De Gregorio 2020 c, 77).
4.La Proposta Astrid
Un gruppo di studiosi di diritto ecclesiastico coordinato dal Prof. Roberto Zaccaria nel 2017 ha elaborato una proposta di legge di riforma della legge sui culti ammessi e di tutela della libertà religiosa, attraverso le discussioni che si sono svolte in un seminario organizzato dalla Fondazione Astrid a Roma il 6 aprile 2017. Di seguito si intende dar conto degli interventi dottrinari sui principali aspetti di questa proposta di riforma. Uno degli intervenuti ha sottolineato che l’assenza di una legge sulla libertà religiosa, ha determinato uno squilibrio nell’intero sistema di relazioni tra Stato e comunità religiose in Italia poiché,se è pur vero che la stipulazione delle intese, a partire dal 1984, ha accorciato le distanze eccessive tra la disciplina giuridica della Chiesa cattolica e quella di altre organizzazioni religiose, però ha approfondito il divario tra le comunità che sono riuscite a concludere una intesa con lo Stato italiano e quelle che ne sono rimaste prive (S. Ferrari 2017, 2).
a) matrimonio.
La proposta Astrid all’art. 15 istituiva presso le Prefetture il registro territoriale delle “associazioni con finalità costitutive e prevalenti di religione o di culto o con finalità filosofiche e non confessionali”. Al comma 5 di questa disposizione si stabiliva che, nella domanda di iscrizione, per accedere a questo registro, dovesserospecificare i nominativi “dei soggetti deputati a celebrare matrimoni civili per delegazione, ai sensi dell’art. 1, comma 3, del D.P.R. 3 novembre 2000 nr. 396”.
L’ art. 26 recitava che “le confessioni religiose designano senza ingerenza dello Stato i soggetti deputati a svolgere le funzioni di ministri di culto” e al comma 5 si diceva che “se in possesso della cittadinanza italiana o di uno dei paesi membri dell’UE, i ministri di culto iscritti nel registro nazionale possono celebrare matrimoni destinati alla trascrizione civile ai sensi dell’art. 27”.
In questa ultima disposizione si aggiungeva che “i matrimoni celebrati davanti a ministri di culto, iscritti nel registro nazionale, ai sensi dell’art. 26, commi 2 e 5,possono ottenere il riconoscimento degli stessi effetti dei matrimoni civili, attraverso la trascrizione in apposita sezione dei registri dello stato civile….. (omississ)….. 2. Con l’entrata in vigore della presente legge ogni disposizione che rinvii al matrimonio celebrato davanti ai ministri di culti ammessi nello Stato deve intendersi riferita al matrimonio celebrato davanti a ministri di confessioni religiose registrate”.
Infine, all’art. 30 la proposta statuiva che “il matrimonio celebrato davanti a ministri di confessioni religiose registrate ha effetti civili dal momento dellacelebrazione……”.
Si è sottolineato, da autrice già citata, che le novità fossero dirette a “contrastare, sia pure solo in parte, il mantenimento di una irragionevole discriminazione fra i matrimoni concordatari e matrimoni celebrati oggi davanti a ministri approvati di confessioni diverse dalla cattolica privi di legge sulla base d’intese” (S. Domianello 2017 c, 7).
b) associazioni e confessioni
I soggetti collettivi religiosamente connotati che aspiravano a svolgere la loro missione in condizioni comparabili a quelle non lucrative con finalità genericamente culturali erano condizionati da una rigida alternativa. Questa era rappresentata da un lato dalla mimetizzazione della propria identità religiosa dietro lo schermo delle attività diverse, dall’altro dalla richiesta di un riconoscimento istituzionale non di rado impervio e imponderabile, come quello previsto dalla legislazione sui culti ammessi. (A. Ferrari 2017 a, 5). Questo autore ha sottolineato che la proposta Astrid ha inteso superare tale situazione, attraverso le leve della trasparenza e della distinzione ; quella della trasparenza in quanto si è incentivata l’emersione di finalità religiose ma anche filosofiche e non confessionali e lo svolgimento della funzione amministrativa attraverso atti (il sistema della registrazione) espressione di un modello di discrezionalità mista entro cui, accanto a soluzioni di razionalizzazione tecnica pienamente conoscibili e sindacabili, coesistevano inevitabilmente dimensioni valutative di interessi più generali (A. Ferrari 2017 b, 5).Quella della distinzione in quanto “adempiendo all’onere dell’elaborazione di una nozione di religione giuridicamente significativa e coerente con l’impianto costituzionale vigente (S.U., n. 16305 del 2013), la proposta si fonda su e riconosce la distinzione di derivazione costituzionale tra confessioni religiose, da una parte, e associazioni con finalità di religione o di culto o filosofiche o non confessionali, dall’altra” (A. Ferrari 2017 c, 5 – concorda R. Mazzola 2017 a, 7).
c) libertà individuale
Il primo comma dell’art. 3 della proposta Astrid così recita “la libertà di coscienza e di religione comprende il diritto di professare individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, la propria religione o la propria credenza filosofica e non confessionale, di farne propaganda, di osservarne i riti o le pratiche”.
La norma non fa riferimento alla sola libertà religiosa, ma in conformità agli orientamenti giurisprudenziali evidenziatisi già dalla sentenza n. 117 del 1979 della Corte Costituzionale “nella scia della più consolidata tradizione normativa, tanto dell’Unione Europea quanto internazionale in materia di libertà di religione e di coscienza, recupera una nozione di foro interno che, nella tradizione del miglior liberalismo sia cristiano sia laico, ricomprende quell’eredità religiosa e umanistica espressamente richiamata nel Preambolo del Trattato di Lisbona” (R. Mazzola 2017 b, 2). Riprendendo le argomentazioni di quella storica sentenza, la proposta afferma il concetto che la libertà religiosa deve essere intesa non soltanto come “libertà di religione” ma anche come “libertà verso la religione” e che la tutela giuridica va assicurata tanto a credenti che a non credenti. Questo principio riverbera di sé (come abbiamo visto) tutte le disposizioni rilevando per tutti i profili e istituti da essa contemplati.
5. Conclusioni
La tutela delle libertà religiosa nel nostro paese ha compiuto passi decisivi, ma non è compiutamente realizzata. Necessita per raggiungere questo obiettivodell’approvazione di meccanismi di natura giuridica che la classe politica, non ha ancora neppure messo in cantiere. La discussione che la dottrina del diritto ecclesiastico ha condotto è stata svolta alla luce delle epocali emergenze sociali che impongono una sistematizzazione della materia attraverso un testo unico che realizzi le molteplici esigenze che la realtà dell’esercizio della fede prospetta. Si tratta innanzitutto di rendere effettiva nei molteplici istituti giuridici, che da essa riverberano, l’idea personalista, ancora feconda incarnata dalla Costituzione Repubblicana. Inoltre, rendere effettiva una idea di laicità attiva, che se da un lato non discrimina tra le diverse concezioni di fede (non necessariamente teiste), dall’altro attribuisce alle credenze un ruolo positivo e propulsivo, nei più svariati contesti sociali.
Significativa sotto il profilo della realizzazione di eguaglianza e laicità è l’esigenza manifestata dagli ecclesiaticisti di una regolamentazione del procedimentoe del contenuto delle intese, da un lato per evitare il fenomeno degli accordi fotocopia, dall’altro le discriminazioni tra credenze alla luce di unaingiustificata superiorità ordinamentale dello Stato-Pubblica Amministrazione. In un momento storico in cui il fenomeno religioso, perde nel nostro paese la forza dei numeri nell’esercizio, ma acquista quello della consapevolezza e della partecipazione dei singoli credenti, è necessario che si apra un dibattito sulla funzione della religione e della credenza nella società,tra i soggetti pubblici che concretizzano la volontà collettiva, proponendolo all’opinione pubblica in modo non ideologico, indicando alla stessa quali strumenti concreti si intendano adoperare per conseguire una concreta pacificazione sociale e un ruolo positivo della pratica della fede.
CESARE AUGUSTO PLACANICA.