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    L’uso del cellulare può causare una malattia professionale?

    Riconosciuto il nesso causale tra l’utilizzo eccessivo del cellulare e l’insorgenza del tumore. L’avvocato Nicola Amedeo Maggio commenta la recentissima sentenza della Corte d’Appello di Torino.
    Negli ultimi giorni è diventata virale la notizia del riconoscimento della malattia professionale ad un tecnico specializzato di un’acciaieria per aver riportato «sordità» a causa dell’eccessivo uso del telefono cellulare durante il rapporto lavorativo (C.A. Torino, sez. lav., 3 novembre 2022, n. 519).
    Ne parliamo con l’avvocato Nicola Amedeo Maggio socio di Pizzagalli & Maggio Avvocati.
    Avvocato Maggio, ci illustri la vicenda esaminata dalla Corte d’Appello di Torino.
    Un dipendente di un’acciaieria aveva utilizzato per 13 anni, almeno quattro ore al giorno, quindi per oltre 10mila ore complessive, il cellulare: sempre senza cuffie auricolari, e sempre all’orecchio sinistro. Questo gli causava un «neurinoma del nervo acustico» che aveva spinto il lavoratore ad adire il Giudice piemontese per ottenere la condanna nei confronti dell’Inail a corrispondergli «la prestazione dovuta per legge, commisurata ad una percentuale di invalidità pari almeno al 65%».
    Il Tribunale di Aosta accoglieva il ricorso, sia pure con una riduzione della percentuale di invalidità rispetto a quella oggetto della domanda (53%), considerando rilevante l’associazione tra «un tumore raro (colpisce 1 persona su 100.000) ed una esposizione altrettanto rara come l’utilizzo massivo dal 1995 di telefonia cellulare ad elevate emissioni». Infatti, nel caso di specie, «il rischio derivante dall’utilizzo professionale di telefono cellulare risulta decisamente aggravato in relazione principalmente al lungo periodo di esposizione (13 anni) ed all’elevata intensità dell’esposizione stessa, quest’ultima dovuta sia alla tipologia di apparecchi telefonici cellulari utilizzati (Etacse GSM 2G, con livelli di emissione quasi 100 volte superiori rispetto ai più moderni telefoni cellulari), che all’elevato numero di ore di utilizzo dell’apparecchio telefonico stesso». Di conseguenza, veniva riconosciuto «un nesso eziologico tra la prolungata e cospicua esposizione lavorativa a radiofrequenze emesse da telefono cellulare e la malattia denunciata dal periziato all’INAIL», da cui scaturiva la corresponsione in suo favore di un’indennità da malattia professionale.
    L’Inail impugnava la sentenza di primo grado contestando: (i) l’erroneità della stima dell’utilizzo quotidiano del cellulare da parte del lavoratore, poiché imprecisa e basata su testimonianze generiche, oltre che (ii) la non corretta affermazione del Tribunale in ordine all’esistenza del nesso eziologico tra il neurinoma del nervo acustico e l’esposizione lavorativa a radiofrequenze.
    Quali sono i presupposti per il riconoscimento di una malattia professionale?
    La malattia professionale consiste in una patologia che il lavoratore contrae in occasione dello svolgimento dellattività lavorativa a causa della presenza di fattori presenti nellambiente nel quale presta il servizio. Essa comporta un’incapacità al lavoro ed è indennizzabile a condizione che (art. 10 D.lgs. 38/2000):
    sia contratta nell’esercizio delle attività soggette ad assicurazione;
    sia determinata dalla cd. causa lenta, ossia da una graduale, lenta e progressiva azione lesiva sull’organismo del lavoratore;
    esista un rapporto causale diretto con l’attività lavorativa.
    Nel caso di specie, sussistevano tutti i presupposti per il riconoscimento al lavoratore dell’indennità da malattia professionale, avendo egli perso l’udito per un tumore causato dall’uso eccessivo del cellulare nel periodo 1995/2008 durante lo svolgimento dell’attività lavorativa. Era altresì ritenuta altamente probabile la sussistenza del nesso causale tra l’evento lesivo e la prestazione lavorativa poiché «nel caso del neurinoma dell’acustico alcuni dati di letteratura […] dimostrano come l’esposizione a radiofrequenze di elevata intensità sia in grado di determinare l’insorgenza di lesioni neoplastiche benigne». Inoltre, il CTU correlava, sul piano del nesso causale, «la specifica malattia da cui è affetto l’appellato (neurinoma del nervo acustico di sinistra) all’attività professionale pericolosa (esposizione lavorativa, per non meno di 10.361 ore dal 1995 al 2008, a radiofrequenze da utilizzo di telefono cellulare con tecnologia Etacs fino al 2005», tenuto conto altresì «della presenza di elementi individualizzanti rafforzativi» quali «l’insorgenza della patologia all’orecchio sinistro, l’unico utilizzato […] per le telefonate, a causa della grave sordità pregressa all’orecchio destro».
    Qual è stata dunque la decisione della Corte d’Appello torinese?
    La Corte d’Appello ha confermato il riconoscimento al lavoratore della malattia professionale, sulla scorta del nesso causale tra l’uso eccessivo del cellulare e l’insorgenza del tumore. Infatti, dalla fase istruttoria del giudizio si evinceva che il lavoratore «coordinando e dovendosi coordinare con numerosi colleghi, utilizzasse per motivi lavorativi il telefono cellulare per almeno 3 ore al giorno in tutte le giornate di lavoro e per almeno 1 ora al giorno nelle giornate non lavorative, data la sua condizione di pressoché costante reperibilità». La dose espositiva a radiofrequenze erastata di sufficiente entità da ritenere con elevata probabilità che «l’utilizzo del telefono cellulare possa essere considerato come fattore concausale» del neurinoma dell’VIII nervo cranico di sinistra «in quanto la lesione è insorta omolateralmenteall’orecchio utilizzato per le telefonate (orecchio sinistro)».
    Soltanto per un motivo di natura soltanto processuale, la Corte non ha modificato la misura della rendita spettante al lavoratore – sulla base della maggiore percentuale di invalidità riconosciuta dal CTU e quantificabile «con un danno biologico onnicomprensivo in misura del 57%» – poiché l’appellato non aveva proposto appello incidentale sulla misura della prestazione.
    Si spieghi meglio.
    Nel nostro ordinamento vige il principio di “corrispondenza tra chiesto e pronunciato” ex art. 112 cod. proc. civ. secondo cui il giudice non può pronunciarsi su una statuizione diversa da quellarichiesta e non compresa, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda. Ne consegue che la Corte non attribuiva al lavoratore una rendita maggiore sulla base del diverso grado di invalidità riconosciuto, non potendo «valutare, in favore dell’assicurato non appellante, eventuali aggravamenti incidenti sulla misura della rendita costituita in primo grado, essendo tale valutazione estranea all’oggetto del giudizio di impugnazione e preclusa dal divieto di reformatio in pejus della decisione appellata (Cass. 2028/2012)».

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