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sabato, Luglio 27, 2024
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    Home Prima pagina La bufala del salario minimo

    La bufala del salario minimo

    La bufala del salario minimo
    Combattere la povertà: chi non sarebbe d’accordo? Se l’Italia fosse il Sultanato del Brunei sarebbe possibile distribuire a tutti i cittadini l’immensa ricchezza a disposizione e garantire un livello di benessere da favola. Ma noi non siamo il Brunei, nemmeno l’America, tanto meno la Svezia per stare in ambito europeo.
    L’attualità della domanda iniziale trae spunto dall’iniziativa dell’Unione europea che attraverso i lavori della Commissione riunita a Strasburgo è prossima a licenziare il nuovo accordo che introduce, dopo un anno e mezzo dalla sua prima sperimentazione, il salario minimo europeo. La liturgia bizantina della UE prevede che dopo il voto in Commissione si esprimano il Parlamento in assemblea plenaria, ma senza possibilità di emendare il testo e la ratifica finale del Consiglio dell’Unione. Passaggi formali e non sostanziali per un provvedimento che lascia molto perplessi fin dalle sue prime battute.
    Come sia possibile stabilire un livello di retribuzione minima a livello europeo, quando i sistemi fiscali, le tasse, il costo del lavoro e della vita sono decisamente differenziati da Paese a Paese, è un vero mistero che suona tanto di demagogia e non di una politica unitaria dell’UE.
    Le prime bozze del documento della Commissione non riportano cifre definite relative ai salari, ma dovrebbero individuare criteri “adeguati e equi” per fissare i salari minimi, tenendo conto che per alcuni Paesi europei, come l’Italia, il livello minimo salariale nazionale non esiste, in quanto la storia patria ci tramanda la buona consuetudine di demandare alla contrattazione di categoria la definizione dei salari minimi, massimi, accessori, legati ai risultati, alla produttività e alle performance delle aziende. Materia sofisticata, fatta di dettagli e di contesti che mutano, mica piani quinquennali!
    Prima ancora di commentare se il salario minimo sarà giusto, alto o basso, c’è un problema culturale che deve essere affrontato: quale valore si intende affermare con tale misura? Si vuole livellare il salario di tutti i lavoratori d’Europa in stile Piani quinquennali dell’ex URSS, saltando a piè pari la storia della libera contrattazione e della correlazione tra salario e capacità produttiva?
    Ecco, in attesa di vedere il testo finale, si può azzardare che la logica che sta partorendo questa novità è analoga e complementare a quella che ci ha portato a introdurre in Italia il Reddito di Cittadinanza, un assegno uguale per tutti, a prescindere dalle condizioni individuali.
    Non è un caso che, dopo l’uscita critica del Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, il tema del salario minimo abbiainnescato un dibattito politico che ha immediatamente diviso le forze politiche che sostengono la maggioranza del governo Draghi.
    Il Ministro Orlando, colpevolmente silente sul tema della riduzione del cuneo fiscale (quella, sì, sarebbe una misura tangibile e utile per imprese e lavoratori) non ha esitato ad esultare auspicando un dibattito che porti a soluzioni adeguate (anche se non ha specificato adeguate a cosa).
    Gli fa eco il suo omologo della Francia, che ha la presidenza di turno, evidenziando come il salario minimo porterà allo sviluppo delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva. Ma che sembra aver dimenticato quanto avvenuto fino a ieri, in primis i gilet gialli.
    Tra le forze politiche nostrane i Cinque stelle esultano, per bocca di Giuseppe Conte, chiedendo una rapida approvazione della direttiva europea. Gli fa eco Enrico Letta, a riprova della comune matrice delle due forze politiche della sinistra, impegnato a rivendicare questo eccezionale risultato come una vittoria da brandire in occasione – guarda caso – degli ultimi comizi della campagna elettorale in corso.
    A livello ministeriale Speranza fa sponda con Orlando, rinsaldando così il precario accordo “giallorosso”.
    Ma il centrodestra nella maggioranza la pensa diversamente. «Il salario minimo per legge non va bene perché è contro la nostra storia culturale di relazione industriali. Non buttiamo il bambino con l’acqua sporca e valorizziamo le nostre relazioni industriali. Il salario non può essere moderato ma deve corrispondere alla produttività», ha spiegato il ministro di Berlusconi Renato Brunetta.
    Si sfila in parte il leader della Lega Matteo Salvini, per il quale il salario minimo è materia di contrattazione sindacale, mentre la politica deve avviare velocemente l’introduzione della flat tax al 15%, così da dare un po’ di ossigeno alle imprese che, tra l’altro, sono le stesse che oltre alle tasse pagano anche gli stipendi e i relativi onerosi accessori (tra cui proprio il cuneo fiscale).
    Anche nelle compagini sindacali il salario minimo genera divisioni: da un lato la Uil si dice favorevole a discutere la misura, dall’altro la Cisl che vede nella contrattazione l’unico ambito preposto alla definizione dei livelli salariali.
    Landini, segretario della Cgil, non perde l’occasione per fare propaganda politica, dichiarando che anche lui è favorevole a combattere la povertà. Appunto: chi non sarebbe d’accordo?
    Pietro Broccanello

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