Confindustria, le manovre elettorali non frenino le riforme
Si chiude col botto la convention di Confindustria riunita a Trento per il Festival dell’Economia. Il punto di vista del sistema imprenditoriale italiano viene espresso a chiare lettere da Carlo Bonomi, presidente della principale associazione imprenditoriale del Paese.
Un discorso a tutto tondo quello di Bonomi, che parte dalla triste attualità della guerra in Ucraina sostenendo la necessità anche per il sistema economico italiano che la politica internazionale converga il prima possibile verso una soluzione diplomatica che porti alla pace. Secondo il capo di Confindustria le sanzioni alla Russia non stanno sortendo gli effetti sperati e attendere che tali misure si dimostrino efficaci nel lungo periodo è una ipotesi non sostenibile che minaccia pesantemente il nostro tessuto economico. Il rialzo dei prezzi dell’energia e la difficoltà di reperimento di materie prime stanno penalizzando più i Paesi come l’Italia che non la capacità di resistenza di Mosca.
La Russia, ma anche la Cina sono realtà senza le quali non è pensabile disegnare equilibri stabili per il futuro e di questo la politica deve assumersi la responsabilità, pena una recessione ben peggiore di quella generata dal biennio di pandemia appena trascorso.
Inquadrato il contesto internazionale, Bonomi ha successivamente lanciato un affondo sulla politica interna e in particolare sul tema delle riforme che il governo Draghi non riesce ancora a far decollare; l’alba delle prossime elezioni politiche fa temere un lungo periodo di stallo nell’azione di Governo che non può essere tollerato da chi, come gli imprenditori, ogni giorno sta combattendo per mantenere posti di lavoro e competitività che significa benessere per tutti.
La polemica lanciata dal capo di via dell’Astronomia si dirige precisamente sul ministro Orlando e la sua totale mancanza di proposte concrete sul tema dei salari e del costo del lavoro.
Secondo Confindustria occorre intraprendere una politica decisa che preveda il taglio del cuneo fiscale, operazione che consentirebbe di alleggerire gli oneri legati alle retribuzioni, unica soluzione in grado di riequilibrare la voce stipendi senza penalizzare imprese e lavoratori.
In questo senso Bonomi sottolinea che il tema del salario minimo è un falso problema, uno specchietto per le allodole alla vigilia delle manovre elettorali e non rappresenta una soluzione concreta. Il motivo? Semplice, stando ai dati del centro studi di Confindustria i contratti collettivi afferenti al mondo dell’industria garantiscono già livelli retributivi minimi ben al di sopra del salario minimo che si vorrebbe individuare. Mentre una riduzione delle imposte che gravano sulle imprese come oneri derivanti dalla retribuzione sarebbe la vera cura necessaria per ridare slancio alla capacità di investire delle nostre imprese e una linfa vitale per riprendere la corsa verso il miglioramento delle performance della nostra bilancia economica.
Le proposte giacenti in Parlamento, secondo Confindustria, non toccano il cuore del problema, ovvero il miglioramento delle condizioni economiche dei lavoratori e l’alleggerimento dei costi diretti della produzione ad essi collegati.
La proposta di Bonomi è chiara: destinare almeno metà dei 38 miliardi previsti come extragettito derivanti dalla prossima manovra finanziaria (Def) a favore della riduzione del cuneo fiscale che ancora oggi è tra i più alti in Europa. In cifre, la proposta di Bonomi inciderebbe sulla spesa pubblica solamente per l’1,6%, una cifra non proprio impossibile.
Ma il dibattito politico non decolla e da parte del Governo, in particolare del Ministro Orlando, non emergono proposte in questa direzione: un silenzio assordante che non può essere accettato dal Paese reale.
Bonomi respinge al mittente anche l’accusa di non voler agevolare i rinnovi dei contratti collettivi, evidenziando che negli ultimi due anni sono stati rinnovati ben 28 CCNL e dei 7 milioni di lavoratori in attesa di rinnovo solo 240mila sono nell’industria.
Su questo punto il leader di Confindustria parte all’attacco: il salario minimo prevede un valore orario pari a 9 euro, già superato abbondantemente da tutti i contratti collettivi di cui Confindustria è firmataria. Piuttosto, il Governo dovrebbe arginare le zone grigie, il lavoro irregolare e le false cooperative, i contratti sottocosto e altre abitudini che pescano nell’opaco sottobosco del lavoro.
Per Bonomi la sfida consiste nella scelta di campo del Governo che deve dire se vuole costruire un modello basato sul Reddito di cittadinanza, di per sé improduttivo e costoso, o se vuole intraprendere una vera lotta alla povertà attraverso politiche di welfare che tengano conto anche del trattamento economico da adeguare al costo della vita reale di chi lavora.
La questione del lavoro in nero, una piaga che puntualmente emerge nel confronto tra politica e parti sociali, ma su cui ad oggi non si vede la volontà della politica di uno sradicamentodefinitivo, potrebbe far recuperare enormi sacche di risorse che – se fatte emergere – porterebbero in dote anche quelle risorse necessarie ad abbattere il cuneo fiscale più alto d’Europa.
Le riforme sono una necessità per il Paese che non può essere rallentata o negata esclusivamente in funzione di strategie di consenso elettorale che non portano a risolvere problemi seri, come il costo dell’energia o la ripresa di competitività.
Pensare al nuovo ordine mondiale, a una stagione interna di riforme improcrastinabili, a un riequilibrio tra stipendi e costo della vita non sono bandierine da sventolare in funzione di una manciata di voti: ne va della sopravvivenza dell’intero sistema Paese. E i tempi sono già piuttosto stretti.
Pietro Broccanello