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    “Il pianeta che speriamo” Per una “ecologia umana” e non mera “sostenibilità ambientale”

    “Il pianeta che speriamo”
    Per una “ecologia umana” e non mera “sostenibilità ambientale”
    Flavio Felice
    Membro del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali
    La crisi economica, sanitaria e ambientale che stiamo vivendo ha provocato le analisi di esperti di diversi orientamenti e numerosi tentativi di arginarla da parte delle grandi istituzioni mondiali; in questi giorni si sta svolgendo a Glasgow il summit CoP26, importante conferenza internazionale Onu sul clima.
    Non deve quindi stupire se anche la Chiesa italiana tenti di rispondere ai quesiti teorici e alle evidenze empiriche sollevate dal profondo sconvolgimento delle strutture e delle società mondiali.
    È questa la situazione problematica nella quale si è inserita la 49° edizione delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, intitolata: Il pianeta che speriamo: ambiente, lavoro, futuro. #Tuttoèconnesso che si è tenuta a Taranto dal 21 al 24 ottobre.
    Oltre alla doverosa analisi delle buone pratiche, i lavori della Settimana Sociale si sono concentrati sui nessi teorici relativi alle principali questioni che interpellano il dialogo tra riflessione scientifica e Dottrina sociale della Chiesa.
    Possiamo così individuare quattro questioni che mi limiterò schematicamente a sintetizzare. In primo luogo, il tema dell’Identità e missione della Dottrina sociale della Chiesa nel Terzo millennio, a partire dal dialogo con alcuni portati recenti delle scienze sociali. In secondo luogo, il tema della sostenibilità; abbiamo sottolineato come l’impostazione malthusiana sia stata sempre estranea allo sviluppo della dottrina sociale della Chiesa. Tali dottrine si basano sull’enfatizzazione della questione della scarsità delle risorse rispetto ai fini, evitando tuttavia di venire alle prese con l’essenza della crescita economica moderna, che ha smentito le previsioni maltusiane, dimostrandosi costantemente in grado di allentare i vincoli di scarsità. Il terzo luogo, il passaggio dalla connessione alla comunione, riflettendo slulle prospettive digitali e sulle nuove responsabilità. Infine, abbiamo posto l’accento sul tema dell’ecologia integrale come contributo per l’uomo contemporaneo per ritrovare il suo posto nella comunità-azienda e espletare i propri doveri nei confronti dell’ambiente, che per i credenti è il creato.
    L’ambiente, il lavoro e il futuro assumono un significato ancor più specifico se interpretati alla luce del “tutto è connesso”. Non si tratta dell’enunciazione di uno dei tanti slogan che affollano la piazza virtuale in questi tempi contraddistinti da facile retorica comunicativa. Il “tutto è connesso” vuole esprimere il tratto qualitativo più profondo dell’epoca che stiamo vivendo. Dal nostro punto di vista, “tutto è connesso” significa rendere ragione di almeno tre dimensioni della vita umana: la dimensione esistenziale, che rinvia all’integrità dell’umano; la dimensione funzionale, che ci ricorda la cifra plurarchica della società, senza che nessuna delle sfere possa avanzare monopoli o pretesi primati: politica, economia e cultura (democrazia, mercato e pluralismo) si tengono e cadono insieme; infine, la dimensione spazio-temporale, che ci pone di fronte alle sfide geopolitiche del presente e del futuro, in uno scenario globale che oscilla tra le istanze sovranazionali di tipo globalista e quelle internazionali ancora di matrice statocentrica, rendendo estremamente complessa l’individuazione e la comprensione della fonte di legittimità della decisione pubblica, venuta meno la certezza dei limiti territoriali e di merito, entro i quali l’autorità politica esercita le proprie funzioni di sovranità sempre più evanescenti.

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