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    Caro Gianni, quando cito i tuoi testi gli adulti capiscono meglio

    Caro Gianni, quando cito i tuoi testi gli adulti capiscono meglio
    Caro Gianni,
    non so come spiegarti, ma devo provarci. Anche perché se poi ci riuscissi, capirei meglio anche io. Ne sono certo. Ti conosco perché ho dei genitori che leggono molto. Ti ho conosciuto meglio quando sono arrivati i miei figli: ora sono io a leggere molto di fronte ad un pubblico che ascolta volentieri le tue filastrocche. Sono arrivato al punto da apprezzarti così tanto che ti “tengo nel taschino” e ti uso alla bisogna. Anche sul lavoro, lo ammetto. E senza chiedere la tua autorizzazione. Ma credimi, è necessario.
    Tu non conosci me. Sono un lettore come tanti. Niente di più. Ho un lavoro piuttosto piacevole. Ho a che fare con le persone. Tante. Diverse. Tutte più o meno organizzate in team. Per loro organizzo attività di team building. Qualcosa di poco traducibile in italiano, ma con effetti benefici su chiunque vi partecipi. Qualunque lingua parlino. Un po’ come le tue storie e i tuoi personaggi. Gli effetti sono pazzeschi. O favolosi, se preferisci.
    Ecco, quando al termine di un’attività di team building si cerca di interpretare quanto accaduto, quando in buona sostanza si cerca di “mettere a terra” i concetti di cui si è fatta esperienza, capita spesso che io parli di te. Lo faccio pensando ad una delle storie che più fa sorridere i miei figli. Quella del cosiddetto Marciapiede Mobile, raccolta nel volume Favole al Telefono. Ricordi? Beh, poteva essere questa storia come un’altra. Ma questa piace molto. E’ bizzarra. Divertente. Un marciapiede mobile che si muove a piccola velocità, concedendo tempo agli anziani con la sporta della spesa di guardare le vetrine. Un’invenzione che ha permesso di abolire qualunque mezzo pubblico. E di conseguenza i bambini possono giocare nelle strade. E se qualcuno dice “beh”, o tenta di portargli via la palla, può rischiare di prendere la multa. Un mondo ribaltato. Il contrario della vita reale. Così bizzarro da farti ridere. Ma i bambini non si limitano a ridere. Arrivano a pensare, “e se fosse davvero così?”. Ciò perché i bambini sanno giocare. Sanno immedesimarsi nel gioco. Così bene da pensare che sia reale.
    Non sono un pedagogista. Sono solo un lavoratore entusiasta. E non so spiegarti quale meccanismo le tue letture scatenino nei miei figli. O negli adulti. Del resto non c’è bisogno che io lo faccia. Quando uso le tue storie di fronte ad un pubblico di “grandi”, al termine di una delle attività di team building di cui ti parlavo poc’anzi, gli adulti capiscono. Capiscono meglio. Comprendono la necessità di immedesimarsi nel gioco per sentirsi liberi di essere se stessi. Per mostrare se stessi in un momento (o una giornata) dove il ruolo professionale non serve più. Quello che serve è credersi un pirata, salire su una zattera di fortuna e urlare all’altra squadra, “vinceremo noi!” 🙂
    La buona pratica del gioco, insomma. Niente di più. Ma funziona. Dannazione se funziona. Ho parlato di te al team di Mercuri Urval che pagaiava senza sosta e con ritmo impeccabile; ti ho citato durante un’attività con Deloitte, dove i ragazzi (vedi foto in cima) rappresentavano la scritta di un vino inventato con i loro corpi; e ancora, ho parlato di gioco e della necessità di giocare con il team di un master della Bocconi, un gruppo di persone che davvero ha costruito una zattera e l’ha fatta navigare. Lì dove un partecipante, alla domanda “cosa ha contraddistinto l’esperienza vissuta oggi, insieme?” ha offerto una risposta semplice, vera, spontanea: “il fatto è che oggi, per portare a termine le prove, nessun contrastava l’altro. Nessuno controbatteva. Anzi, al contrario, qualunque fosse la proposta di chiunque nel team, seguivamo le sue indicazioni. Seguivamo le indicazioni di tutti. Ci fidavamo”.
    Il gioco può assumere forme e strade diverse. Ogni volta. Bisogna percorrerle tutte. Bisogna dare spazio a tutti di crearne una. E’ un modo intelligente per alimentare la fiducia. Nel gruppo. E in sé stessi. Perché tutti, ad un certo punto. seguiranno le nostre indicazioni. E ciò ci farà sentire importanti. O ci farà sentire l’equivalenti di un piccolo eroe, giusto per rimanere in tema. Così l’avventura prenderà forme inaspettate, memorabili. Come una favola. Come una delle tue favole.
    Ora mi è tutto chiaro. Ho capito. Ho capito meglio.
    Grazie Gianni.
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    Marco Menoncello – www.corefab.it
     
     
     

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