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    Traguardare il 2023

    Traguardare il 2023
    La primavera del 2023 con la fine della legislatura e nuove elezioni politiche è vicina. Una proposta politica non dettata dagli eventi giornalieri ma orientata al bene dell’Italia, cioè capace diaffrontare i problemi antichi e recenti del nostro paese e diproporre soluzioni tali da dare ad essi risposte serie, non può non porsi sin da ora il problema di che cosa succederà quando si concluderà l’esperienza del governo Draghi e le nuove elezioni definiranno le basi politiche per il governo che verrà. Sempre che un incidente di percorso non acceleri addirittura gli eventi.
    Naturalmente ci possiamo aspettare che gli attuali partiti – Cinque Stelle, Partito Democratico, Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, più varie piccole formazioni – si ripropongano nel 2023 agli elettori. Meno chiaro è se si presenteranno in coalizioni o da sole perché questo dipende anche dal possibile cambiamento del sistema elettorale. Mentre l’attuale sistema con i collegi maggioritari spinge agli accordi pre-elettorali, un sistema proporzionale incoraggerà tutti a correre da soli e ad accordarsi dopo le elezioni.
    Ma possiamo aspettarci da questi partiti proposte politiche adeguate ai problemi del paese? La risposta è senza troppa esitazione negativa. L’esperienza del governo Draghi ne è la riprova doppiamente chiara. Intanto perché questo governo è nato proprio per sopperire alla incapacità degli attuali partiti di offrire una proposta politica all’altezza dei problemi della pandemia e del dopo-pandemia. In secondo luogo perché in questi primi mesi di governo tanto Cinque Stelle e PD che la Lega hanno preferitoinseguire temi periferici o adottare posizioni poco chiare lasciando al capo del governo le scelte difficili e il compito di indicare la strada maestra per la ripresa del paese.
    Per chi pensasse che con la fine della legislatura i problemi dell’Italia saranno stati risolti e si potrà ritornare alla politica di sempre queste esperienze dovrebbero invece suscitare una riflessione. Tanto più per chi è conscio che due anni di governo – quantunque il migliore – non possono essere la bacchetta magica per fare uscire l’Italia dalle gravi disfunzionalità economiche, sociali ed amministrative che ne hanno tarpato per molti anni lo sviluppo e hanno alimentato serie linee di frattura interne.
    Una riflessione più seria deve quindi porsi il problema di quale dovrebbe essere la politica dopo le elezioni del 2023.
    Di nuovo conviene partire dagli insegnamenti che possiamo trarre dall’esperienza Draghi. Che cosa rende questo governo decisamente migliore dei precedenti? E’ piuttosto chiaro: questo governo non è a trazione né dell’uno né dell’altro dei due schieramenti e non è neppure una pura “media” delle proposte di questi due. E’ vero semmai il contrario: oggi sono i due vecchi schieramenti al traino del presidente del consiglio e le scelte fondamentali delineate da questi sono chiaramente al di sopra di quella che potrebbe essere la media tra di loro. In altri termini la linea Draghi non è quella di un centro meramente mediatore tra i due schieramenti, bensì di un centro propulsivo e trasformatore che, partendo da una visione chiara dei problemi strutturali del Paese e da una idea che potremmo definire “ambiziosa” delle potenzialità del paese, si propone un programma di cambiamento che solo può tenere insieme le esigenze dello sviluppo e quelledella giustizia sociale.
    Senza voler “santificare” l’attuale primo ministro e la sua azione, ma ben consci dell’importanza e innovatività di questa esperienza, occorre partire da qui per pensare una proposta capace di innovare in un quadro che altrimenti nel 2023 rischierebbe di riportarci indietro. C’è bisogno che nelle prossime elezioni ci sia una forte proposta politica di centro che non sia succube dei due scombinati e usurati schieramenti di destra e sinistra. Ma è chiaro che una proposta di centro non può nemmeno essere una semplice somma dei tanti frammenti che già oggi esistono a metà strada tra destra e sinistra e degli altri che magari nasceranno nei prossimi mesi. Rifiutare questa prospettiva non significa certo non rispettare coloro che hanno faticosamente tentato questa strada né tantomeno gli elettori che li hanno seguiti opponendo un rifiuto alle chimere dei grandi partiti.  Significa però esser consci che qualcosa di importante è mancato a queste realtà e che si deve lavorare per crearlo.
    Usando una espressione un po’ semplificata direi che a queste esperienze di centro manca la dimensione “popolare”, che prima che una questione di numeri è una di qualità (e da questa può poi sperabilmente svilupparsi anche la prima). Le attuali forze di centro per le caratteristiche della leadership, o dei temi assunti come caratterizzanti, o dei legami con elementi della società, tendono ad intercettare solo segmenti piuttosto parziali dell’elettorato e sono pertanto destinate a restare poco più che mini-partiti.
    L’Italia del dopo-Draghi (che magari potrebbe essere anche un Draghi II, perché escluderlo?) ha bisogno invece di un partito veramente popolare. Che cosa vuol dire questo? Innanzitutto vuol dire esattamente l’opposto di un partito populista (di destra o di sinistra): mentre il partito populista insegue la scorciatoia degli slogan che cavalcano le paure e gli istinti del momento della gente, il partito popolare si radica nei bisogni durevoli delle persone e delle famiglie e ha il coraggio di proporre risposte anche difficili. Per poter far questo il dialogo stabile con le realtà associative della società e dell’economia, con le famiglie gli sono indispensabili, mentre il partito populista li salta e si rivolge all’individuo nella sua spesso angosciata solitudine. Rispetto ai partiti di elite il partito popolare si rivolge a una platea più ampia della società riconoscendo e valorizzando la complessità delle sue componenti e cercandone la composizione. In passato avremmo detto che è un partito interclassista, o potremmo dire né pauperista né borghese.
    E’ un partito che guarda senza preclusioni ideologiche a tutte le grandi realtà della nostra società, le famiglie innanzitutto con i loro bisogni economici, educativi e sanitari, l’imprenditoria da quella piccola e diffusa a quella media e grande interessate ad una economia aperta e dinamica, il grande campo delle professioni liberali e dei servizi che chiede normative chiare e uffici pubblici efficienti , gli operai e gli agricoltori con le loro esigenze retributive, di sicurezza sul lavoro, di possibilità occupazionali e di formazione. Ma un partito che sa anche prendersi a cuore le frange di povertà, esclusione e marginalità che tuttora esistono in una società ricca come la nostra.
    E’ possibile far emergere una forza politica con queste caratteristiche?  Oggi questa grande responsabilità tocca innanzitutto a quella cultura politica che trova nella visione cristiana dell’uomo e della società lo strumento per una comprensione non ideologica e ampia dei bisogni delle persone e che purtroppo negli ultimi decenni è stata più sommersa e silente. Una cultura politica ispirata ma non confessionale e che sia capace di dialogare con le componenti non dogmatiche della cultura liberale, socialmente riformista e ambientalista può essere il punto di coagulo di forze politiche oggi disperse e guidarle verso una alternativa agli attuali schieramenti.
    Ma il tempo stringe e se nelle elezioni del 2023 questa proposta vorrà essere in campo c’è molto da fare
    Maurizio Cotta,
    membro del coordinamento nazionale di Insieme

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