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    Medici di famiglia: è allarme per milioni di italiani

    Medici di famiglia: è allarme per milioni di italiani
    L’emergenza Covid ha portato alla ribalta un problema che cova da anni come l’uovo di Colombo, ma di cui nessuno si è seriamente occupato per molto, troppo tempo. Oggi scopriamo che tra numero chiuso alle facoltà di medicina, pensionamenti, limitazioni burocratiche oltre 1,5 milioni di cittadini italiani potrebbero trovarsi a breve senza un medico di medicina generale (MMG) a sua disposizione.
    E’ il dato allarmante emerso dal censimento effettuato da otto regioni italiane e quindi decisamente sottostimato rispetto alla reale situazione nell’intero Paese.
    Le regioni più popolose, come Lombardia, Veneto, Emilia Romagna sono le più colpite; dall’analisi dell’età anagrafica dei medici attualmente in servizio si può prevedere che da qui a sei anni, nel 2027 oltre 35 mila medici andranno in pensione. Basta moltiplicare questo numero per 1.500 (il numero massimo di pazienti che un medico può prendere in carico) per capire che siamo già fuori tempo massimo e che occorre trovare nuove soluzioni per scongiurare il peggio.
    A lanciare l’allarme sono proprio gli addetti ai lavoro, la Federazione degli Ordine dei medici e la Sisac, struttura operativa nelle convenzioni regionali che già con solo otto regioni all’appello mettono a nudo la gravità della situazione.
    Oltre 1.200 ambiti territoriali sono sguarniti di presidio medico, in particolare in Veneto (456), Toscana (239) Emilia Romagna (205).
    In Lombardia dove la situazione è ancora peggiore, molte sedi non sono state coperte nemmeno a seguito di concorsi andati deserti per carenza di partecipanti; per tamponare l’emergenza si è provveduto, in accordo col Ministero, a reclutare giovani medici freschi di specializzazione o ancora in fase di formazione, come testimonia anche la Liguria.
    Occorre ricordare come mai si è arrivati a questo punto. La programmazione dei MMG è una competenza nazionale e dipende dalla scelta di quanti nuovi medici formare nelle nostre università nelle quali si è pensato di introdurre il numero chiuso (cioè un numero massimo prestabilito, senza tener conto del reale fabbisogno) e di creare barriere all’ingresso, i famigerati test di ammissione, che scoraggiano molti giovani dall’intraprendere la carriera di Ippocrate.
    Tale decisione viene motivata da un taglio complessivo della spesa sanitaria, senza intervenire su sprechi (per esempio introducendo costi standard) ed efficientamento delle strutture e dei servizi sanitari. Ma qui il discorso ci porterebbe molto lontano.
    Basti pensare che solo nel periodo 2013-2019 sono stati persi oltre 3 mila medici di famiglia che non sono stati sostituiti da nuove assunzioni.
    Ora è anche partita la corsa ai pensionamenti: se ne prevedono 35.000 entro il 2027  e non sappiamo ancora come potranno essere sostituiti, visto che gli investimenti in borse di studio per la specializzazione post laurea sono decisamente insufficienti.
    E’ una corsa contro il tempo a cui viene miracolosamente in arrivo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), uno stanziamento straordinario reso necessario dai danni procurati dal Covid. Grazie a queste risorse aggiuntive si potranno raddoppiare le attuali borse di studio per la formazione dei MMG che, seppur rappresenta un segnale positivo, rimane comunque deficitario rispetto al fabbisogno complessivo.
    Il problema delle cure domiciliari, cioè della difficoltà a garantire ai malati cronici una adeguata assistenza medica al domicilio, si spiega – come denuncia l’Ordine dei Medici – con la mancanza di programmazione e con la carenza di indicazioni da parte del Governo centrale e spesso anche delle regioni, spesso poco propense a pianificare in modo corretto le proprie esigenze sul medio e lungo periodo.
    Se aggiungiamo l’aggravante della pandemia che ha colpito pesantemente proprio chi era in prima linea come i MMG e la carenza di strumenti innovativi, come la telemedicina e il telecontrollo, il quadro è tristemente completo e spiega come mai la sanità territoriale non ha retto l’urto del Covid come invece, pur a fatica, è riuscito a fare il sistema ospedaliero, talvolta anche in modo eroico.
    Molte regioni, come la Lombardia, chiedono di rivedere completamente la normativa nazionale, facilitando i percorsi accademici, modificando lo status professionale dei MMG che oggi sono dei liberi professionisti, mentre forse dovrebbero essere più organici ai sistemi sanitari regionali da cui potrebbero dipendere in futuro, visto che essi rappresentano i veri “pivot” della sanità territoriale.
    Qualche Regione si sta attrezzando, come ad esempio la Lombardia che con proprie risorse ha incrementato il numero di borse di studio e sta pensando di estendere a tutto il territorio regionale sperimentazioni di cooperative di medici di base che si sono rivelate molto positive e rispondenti al bisogno. E’ il caso di dirlo, l’unione fa la forza!
    Pietro Broccanello

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