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    Moda: lusso e fast fashion scontano gli effetti della crisi

    Moda: lusso e fast fashion scontano gli effetti della crisi

    Diminuzione del fatturato tra il 20 e il 30%. L’e-commerce guadagna terreno e i punti vendita di alcune catene si riducono. Milano intanto risponde con la Digital Fashion Week.

    A pochi giorni dalla chiusura della prima Milano Digital Fashion Week, la capitale della moda prova a far ripartire un settore da sempre florido, che però non è stato risparmiato dagli effetti nefasti della pandemia. Se prima l’unico rosso che conosceva era il blasonatissimo Valentino, ora c’è da considerare quello dei bilanci, che registrano una diminuzione in termini di fatturato che oscilla tra il 20 e il 30%, in linea con quanto preventivato già a fine febbraio dopo la rumorosa assenza dei buyers cinesi – all’epoca in lockdown – alla settimana della moda milanese.

    “Milano è la moda e la moda è Milano”, ha esordito il sindaco Beppe Sala all’inaugurazione del primo evento digitale del settore, organizzato dalla Camera Nazionale della Moda Italiana con il supporto del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e di ICE Agenzia e il contributo di Accenture e Microsoft per ottimizzare la piattaforma. Obiettivo dare una risposta al distanziamento sociale e alle difficoltà di viaggiare imposte dall’emergenza sanitaria, ma anche “essere uno strumento progettato per vivere di vita propria o per sostenere l’appuntamento con le sfilate fisiche”, ha spiegato Carlo Capasa, presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana. Un segnale di positività ed energia per un settore strategico per l’economia nazionale, capace di generare intorno ai 30 miliardi di euro di saldo positivo ed esportarne oltre 70, attestandosi con il 41% tra i big europei relativamente alla produzione tessile, abbigliamento e accessori davanti a Germania (11%) e Francia (8%).

    La pandemia ha colpito duro e il trend di chiusura del 2020 non si preannuncia positivo, per questo già il mese scorso Capasa aveva chiesto al Governo un piano ad hoc per il settore da articolare su quattro aree tematiche: mercato del lavoro, con un abbassamento dei costi a salvaguardia dell’occupazione, sviluppo del digitale, aiuti alla catena retail e incentivi ai brand che investono in ricerca e sviluppo. Un piano necessario soprattutto in considerazione del fatto che l’industria della moda coinvolge molti altri settori quali, appunto, il retail e terziario e una serie di professionalità complementari fondamentali per il funzionamento del sistema.

    Lusso o “fast fashion” non ha importanza, la pandemia ha investito trasversalmente il settore e le aziende hanno reagito con modalità diverse, qualcuna tenendo duro, altre puntando sull’e-commerce – che durante il lockdown ha registrato un incremento di quasi il 30% – altre ancora con la serrata di diversi punti vendita. Brand che già versavano in situazioni non particolarmente rosee prima dell’emergenza sanitaria, adesso hanno ricevuto il colpo di grazia e, con l’occasione, avviato piani di riorganizzazione dell’organico e chiusura dei negozi. Tra tutti spiccano nomi noti al grande pubblico come Zara e H&M. La prima catena ha subito un calo delle vendite pari al 24%, mentre la seconda addirittura il 46% con la chiusura di 8 punti vendita in Italia, di cui due a Milano. La Filcams-Cgil denuncia 2000 posti a rischio, notizia però smentita da una nota di H&M, che precisa: “In merito alle due chiusure di Milano, in un quadro generale di grave difficoltà del settore retail H&M è riuscita a garantire una ricollocazione per tutti i 57 dipendenti dei due punti vendita al fine di salvaguardare la totalità dei posti di lavoro”. “Ottimizzare il portfolio dei punti vendita per adattarsi all’evoluzione del mercato” è quello a cui tende la catena di fast fashion, strategia alla quale guardano molte aziende per reggere l’urto della crisi.

    Micol Mulè

     

     

     

     

     

     

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