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    Un docente universitario al tempo del virus: intervista ad Andrea Benetti

    Andrea Benetti, è un Ingegnere classe ‘88 laureato in Robotica ed Automazione.

    Ha sempre voluto lavorare in parallelo agli studi, già all’età di 12 anni montava i primi computer con processori ‘386. Ha da sempre seguito la mia passione, la domotica, svolgendo diversi progetti su componenti e impianti come la realizzazione di due pulsantiere in domotica wireless con protocollo Z-Wave per un’azienda, gli impianti domotici di 3 yacht nei cantieri San Lorenzo e la realizzazione di impianti elettrici/domotici di diversi hotel, ville ed appartamenti. Tiene una rubrica su un bimestrale di Tecniche Nuove oltre a tenere seminari all’università di Pisa e diversi corsi di formazioni nel campo sia dell’Automazione che della Domotica.

    Parlaci un po’ di te: come si diventa docenti universitari a 30 anni?

    Questa è una domanda alla quale è difficile dare una risposta precisa. Sicuramente la dedizione, la tenacia ma soprattutto la curiosità verso argomenti di proprio interesse portano ad ampliare di molto il proprio bagaglio culturale e questo permette, in discussione con altre persone, di poter dar parvenza della passione che ci spinge ad affrontare certi temi. Dopo studi specialistici nel campo Robotico e dell’Automazione, l’esperienza verte un ruolo fondamentale per poter portare una conoscenza che non si limita alla sola visione teorica delle cose. A ciò va sicuramente considerata una parte legata alla fortuna d’incontrare persone che credono in te e percependo la passione che cerchi di trasmettere trovano il modo di poterla trasmettere nuovamente, cercando anche se in minima parte attraverso l’insegnamento di provocare curiosità ed emozione per temi fino ad allora probabilmente sconosciuti. Uno tra i riconoscimenti più sentiti è sicuramente dovuto al Professor Emanuele Crisostomi che ha da sempre creduto nella mia persona e nelle mie capacità.

    L’università italiana è pronta per il salto digitale?

    Vista la rapidità con la quale le istituzioni hanno fronteggiato questa pandemia sono assolutamente sicuro di poter affermare che le università siano prontissime a fronteggiare quella che ormai è un’era sempre più digital. Motivo di questa forza è anche dovuto ad aziende esperte che sanno e hanno saputo offrire un servizio eccellente alle università in genere, spalleggiando ed affiancando i docenti in modo da offrire un servizio continuativo e di qualità agli studenti. I ragazzi (ormai tutti facenti parte della Generazione Y) dal canto loro, essendo comunque nati, in tutto e per tutto, in un’era digitale si trovano anche avvantaggiati ad usare questi strumenti non riscontrando problemi nel passare da un metodo ad un altro con anche così poco preavviso. Ci si trova fiduciosi quindi a seguire, se questa poi sarà la strada effettivamente predominante, un percorso di cambiamento senza il minimo dubbio che tutto possa evolversi naturalmente.

    Cosa c’è di diverso nel preparare e nel proporre una lezione a distanza?

    Le differenze a mio avviso sono sostanziali. Per quanto concerne la preparazione non vi è molta differenza, in quanto il materiale è prettamente lo stesso, che la lezione sia fatta dal vivo o per via telematica. Ciò che realmente cambia è il modo in cui viene svolta e tenuta la lezione, il non poter osservare i volti degli studenti è una mancanza di segnali molto importante per i docenti. Solitamente riesci, osservando la semplice comunicazione non verbale o interagendo con diverse domande, a capire se una lezione è di facile comprensione, se è di interesse comune o se magari un certo argomento suscita maggiore curiosità rispetto ad altri. Delle risposte e delle espressioni ne si fa sempre tesoro, aiutano ad un miglioramento personale e permettono la prossima volta di affinare sempre più la propria capacità oratoria. Non avere una schiera di persone davanti è esattamente come costruire un monologo ove il discorso, si diretto ad una classe, ma la sensazione è di parlare con se stessi eludendo quello che è l’intrattenimento emotivo e soprattutto il piacere di infondere conoscenza. L’Università ai tempi del Coronavirus ci lascerà qualcosa di utile per il dopo? Un’esperienza di tale portata ci porterà sicuramente a riconsiderare diversi aspetti della nostra vita sociale soprattutto a livello universitario. Qualcuno affermava “Non siamo responsabili per ciò che succede, ma per l’insegnamento che ne traiamo” (S.S.Poitier) ed è così che siamo tutti richiamati fisicamente e moralmente a far fronte a un qualcosa di più grosso di noi che ci ha toccato indiscutibilmente. Il sistema universitario vedrà sicuramente un cambiamento, non solo dettato dalla situazione attuale, ma dal naturale evolversi delle diverse tecnologie che dovranno sempre essere in primis un supporto ai ragazzi e al loro apprendimento. E’ solo attraverso il cambiamento e al passare del tempo che potremmo affermare se sia stato utile o meno.

    Fuori dall’emergenza che ruolo potrà avere la teledocenza?

    Non dobbiamo dimenticare che per diverse università la teledocenza è stata fino ad oggi motivo di vanto ed orgoglio. Sempre più realtà attuano un metodo diverso e tecnologicamente evoluto per far fronte a diverse problematiche, in primis gli spostamenti degli studenti provenienti da diverse aree della regione se non della nazione prive di strutture che possano offrirgli il percorso di studi desiderato. La teledocenza se applicata ad uso comune porterà si miglioramenti dal punto di vista gestionale/organizzativo, ma porterà sempre più a rendere asettiche le lezioni. A mio avviso continuando ad usare questi strumenti tecnologici non si avrà più bisogno di un professore che legga un copione, ma potremmo tranquillamente continuare a studiare sui libri concentrando l’uso della teledocenza solo in caso di ricevimento ove non fosse chiaro qualche argomento.

     

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