Le medie imprese industriali italiane si confermano tra gli attori più dinamici del tessuto produttivo europeo. Secondo l’ultimo rapporto realizzato da Mediobanca, Centro Studi Tagliacarne e Unioncamere, queste realtà – circa 3.650 aziende attive soprattutto nel made in Italy – hanno fatto registrare tra il 2014 e il 2023 un aumento del 31,3% della produttività del lavoro, superando i livelli di Francia, Germania e Spagna. Se da un lato il 2025 si apre con previsioni positive (+2,2% nel fatturato e +2,8% nell’export), dall’altro il 70% delle imprese segnala un forte timore per la concorrenza low-cost, mentre circa un terzo prevede un impatto significativo dai dazi imposti o minacciati dagli Stati Uniti.
Negli ultimi dieci anni, le medie imprese italiane hanno segnato un incremento delle vendite del 54,9% e dell’occupazione del 24,2%, posizionandosi subito dietro le spagnole e nettamente sopra le concorrenti tedesche e francesi. Nonostante l’alto tasso di innovazione (quasi il 46% possiede brevetti), permangono fattori critici come l’elevata pressione fiscale – con un tax-rate superiore di 5,8 punti rispetto alle grandi imprese – e la carenza di competenze tecniche. Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro riguarda infatti otto aziende su dieci, e si riflette sull’aumento dei costi e dei carichi lavorativi. Un ulteriore nodo è quello energetico: oltre il 20% delle imprese ha subito un forte impatto negativo sui margini a causa dell’aumento dei costi, spingendo il 44% a investire in fonti rinnovabili.
Nel 2025 le medie imprese guardano all’estero: quasi il 70% intende espandere le proprie attività fuori dai confini nazionali. Il 55% punta a rafforzare la componente tecnologica, mentre il 30% prevede investimenti green, nonostante solo il 40% ritenga raggiungibile l’obiettivo delle emissioni zero entro il 2050. Il 48,6% vede nella politica energetica dell’UE un’opportunità per migliorare l’efficienza, ma segnala anche un’eccessiva burocrazia e costi aggiuntivi. In questo scenario, il rafforzamento delle politiche industriali europee – soprattutto sul fronte della concorrenza e della sicurezza energetica – è invocato da oltre la metà delle imprese, come condizione per garantire continuità e competitività alla punta più avanzata del capitalismo familiare italiano.