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venerdì 27 Giugno, 2025
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Caso studio: cosa implica, per la cassa, non avere una proposta di valore

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Credo che la maggiore difficoltà per me ed i colleghi Temporary Export Manager sia lavorare per aziende che non sono abituate a coltivare né esprimere un’adeguata proposta di valore.
In tredici anni di attività ho seguito svariate decine di aziende manifatturiere e dovrei fare uno sforzo importante per ricordare quelle che non hanno un proprio valore. Mi risulta invece assai facile dire quante non sono abituate ad esprimerlo: la stragrande maggioranza.
“molte aziende non si sono formate alla cultura del valore”
Cosa vuol dire? che non si preoccupano della percezione che generano presso i clienti, soprattutto quelli potenziali, che rappresentano la fetta più grande del business e la scommessa sul futuro.
Perché accade questo? Provo a rispondere qui:

•⁠ ⁠il passaparola – del quale ancora vivono molte aziende – non stimola ad esprimere valore, ancorché occorra averlo, altrimenti non porta risultati;
•⁠ ⁠mancano risorse interne “ad hoc”;
•⁠ ⁠i titolari sono focalizzati sullo sviluppo tecnologico e trascurano ampiamente il marketing – chi involontariamente, chi no – essendo troppo fiduciosi dei loro prodotti;
•⁠ ⁠non si conoscono gli strumenti più efficaci per trasmettere il valore, non si sa come farlo, dal momento che non vi è una regola generale valida per tutti;
•⁠ ⁠non si studia abbastanza la concorrenza;
•⁠ ⁠“last but not least” semplicemente non si reputa importante farlo

“risultato: la cassa aziendale può soffrire per questa trascuratezza”
Non posso che corredare questa affermazione con un caso studio.
Due aziende meccaniche mie clienti che si rivolgono a settori merceologici simili hanno recepito questa dinamica in modo quasi opposto (nessuna di esse ha risorse proprie per il marketing):

•⁠ ⁠l’una ha creato le condizioni per produrre una cultura e quindi, più concretamente, contenuti che ne esaltano la specializzazione e mi consentono di testimoniare ai loro clienti come può essere utile nelle loro problematiche quotidiane; mi riferisco al piano squisitamente tecnologico;
•⁠ ⁠l’altra semplicemente non lo fa, nonostante numerose proposte e solleciti in quel senso, argomentando che non vi sarebbero le condizioni per produrre contenuti;

Il risultato:

•⁠ ⁠la prima riceve costantemente richieste dai potenziali clienti, anche a distanza di diversi mesi dall’ultimo contatto con essi ed in modo spontaneo: infatti è capace di farsi ricordare e “rispolverare” all’occorrenza (approccio “pullback”); ciò ha creato un certo incremento di fatturato nel tempo;
•⁠ ⁠la seconda non riceve nulla se non a seguito di continue – e costose – azioni commerciali di contatto telefonico (vecchio approccio push): i risultati ci sono, ma largamente inferiori al primo caso; una volta finita l’azione di contatto contingente l’azienda è dimenticata e non è “rispolverata” nei mesi immediatamente successivi;

Nel secondo caso il costo associato ad ogni richiesta ricevuta da potenziali clienti è più alto: infatti l’azione telefonica è assai “time consuming” e non è possibile lavorare con contenuti periodici di valore da diffondere attraverso una costante narrazione.
La prima si differenzia dalla numerosa e valida concorrenza, la seconda si perde nel rumore di fondo.

Alberto Scanziani
Circolo delle Imprese
www.exportconsultant.it

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