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    Continuano proteste in Cina, ma il governo non vuole cedere

    Continuano proteste in Cina, ma il governo non vuole cedere
    In Cina proseguono e si intensificano le proteste legate alla politica “zero Covid”, che si estendono anche ad altre città come Guangzhou. Molti filmati sui social media mostrano violenti scontri nelle piazze della megalopoli nel Sud del Paese, per richiedere di nuovo l’allentamento delle restrizioni. Ma il governo sembra intenzionato a usare il pugno di ferro: “Reprimeremo le proteste in modo risoluto”.
    Sono sempre più numerosi i cittadini cinesi che stanno scendendo in piazza e nelle strade per protestare contro la politica “zero Covid” messa in atto dal governo in conseguenza all’impennata di nuovi casi riscontrati nel Paese, che prevede misure estremamente rigide (e che si sperava di essersi ormai ben lasciati alle spalle) per arginare il contagio.
    Le manifestazioni esplose negli scorsi giorni a Shanghai e Pechino e in altre metropoli cinesi si stanno diffondendo e stanno diventando sempre più intense e violente. A Guangzhou, meglio conosciuta in occidente come Canton, città di circa 15 milioni di abitanti e importante centro manifatturiero, martedì sera una manifestazione si è scontrata con la polizia antisommossa in tuta bianca anti-Covid. La città è in lockdown dalla fine del mese scorso, e alcune proteste erano scoppiate già due settimane fa.
    Sui social si sono diffusi velocemente molti video che mostrano episodi di violenza tra i cittadini e la polizia, nonché quartieri e strade in subbuglio. In un video pubblicato su Twitter, sempre a Guangzhou, dozzine di poliziotti antisommossa in tenuta da pandemia completamente bianca, con scudi sopra la testa, avanzavano in formazione oltre quelli che sembrano essere dei blocchi stradali abbattuti mentre oggetti volano contro di loro. La polizia è stata successivamente vista scortare una fila di persone in manette in un luogo sconosciuto. Un altro video mostra persone che lanciano oggetti contro la polizia, mentre un terzo mostra un lacrimogeno che cade in mezzo a una piccola folla in una strada stretta, con persone che corrono per sfuggire ai fumi.
    Ci troviamo sicuramente di fronte a un fenomeno molto anomalo per la Cina, dove il dissenso è sempre stato represso duramente, e probabilmente alla più grande ondata di disobbedienza civile della Repubblica Popolare Cinese da quando il presidente Xi Jinping ha preso il potere un decennio fa – contando che finora sono state stimate almeno 27 manifestazioni in diverse metropoli.
    Da un lato sembra che queste abbiano portato alcuni effetti, almeno parzialmente, visto che ad esempio a Zhengzhou, centro di produzione degli iPhone da parte della Foxconn, è stata a sua volta teatro di disordini a causa del Covid. A quanto affermato dalle autorità locali, l’area riprenderà la normale produzione e la vita in modo ordinato poiché “le dinamiche della situazione epidemica in tutta la regione sono tornate sotto controllo”, anche se permangono ancora certe restrizioni.
    Ma il governo cinese sembra risoluto a non cedere troppo facilmente alle pretese dei manifestanti e ad utilizzare anzi duramente i metodi repressivi. La polizia ha infatti iniziato a “dare la caccia” ai manifestanti, recandosi direttamente nelle case di alcuni individui sospettati e interrogando alcuni potenziali diffusori di video sul web.
    Proprio ieri il governo ha minacciato di “reprimere in modo risoluto” qualsiasi nuova protesta, a seguito dell’ondata di manifestazioni contro la sua politica di contenimento del coronavirus, ritenendo necessario “risolvere i conflitti e le controversie in modo tempestivo e aiutare a risolvere le difficoltà pratiche della gente” e accusando certe “forze ostili” (non meglio specificate” che starebbero cercando di stravolgere l’ordine sociale del Paese.
    Pietro Broccanello

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