Non tutte le escalation sono uguali. Se i Paesi europei inviano aiuti militari e finanziari a Kiev per difendersi dall’aggressore russo, si tratta di un’escalation che porta in piazza i pacifisti nostrani. In Ucraina, in effetti, è in corso un’escalation, ma essendo opera della Russia non ci sono proteste dei pacifisti italiani, nessun corteo come quello guidato da Giuseppe Conte davanti alla sede Nato a Bruxelles contro il riarmo. Eppure, l’esercito di Putin nel fine settimana ha scagliato oltre 500 tra droni e missili balistici contro alcune regioni ucraine: si tratta del più grande bombardamento aereo dall’inizio dell’invasione russa nel febbraio del 2022. Sarebbero stati impiegati 477 droni e 60 missili.
“Mosca non si fermerà finché avrà la capacità di lanciare attacchi massicci” ha detto Volodymyr Zelensky, spiegando che solo la settimana scorsa la Russia ha lanciato “più di 114 missili, oltre 1.270 droni e quasi 1.100 bombe plananti”. L’insegnamento che l’Occidente dovrebbe trarne è abbastanza palese: “È necessaria una pressione sull’aggressore, così come protezione dai missili balistici e di altro tipo, dai droni e dal terrorismo”, ha detto Zelensky, sottolineando che “Putin ha deciso da tempo che avrebbe continuato a fare la guerra, nonostante gli appelli mondiali alla pace”.
Eppure, Mosca continua a mostrarsi conciliante a parole mentre sul campo aumenta l’intensità dei bombardamenti. “Siamo pronti a difendere una soluzione equa della crisi ucraina”, ha dichiarato recentemente il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, “ma non siamo pronti per il genere di intrighi a cui alcuni leader europei ci hanno costretto a partecipare” ha chiosato l’alto diplomatico. Intanto, dopo 40 mesi dall’inizio dell’invasione, Kiev ha deciso di ritirarsi dal Trattato di Ottawa del 1997 che vieta l’uso, l’immagazzinamento, la produzione e il trasferimento di mine antiuomo, oltre a comportare la distruzione degli arsenali esistenti.