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    Home Prima pagina Il telescopio James Webb ha catturato (di nuovo) i “Pilastri della Creazione”

    Il telescopio James Webb ha catturato (di nuovo) i “Pilastri della Creazione”

    Il telescopio James Webb ha catturato (di nuovo) i “Pilastri della Creazione”
    Il James Webb Space Telescope della Nasa, il più grande e potente telescopio spaziale mai realizzato, è riuscito circa una settimana fa ad immortalare gli iconici “Pilastri della Creazione”, le tre enormi colonne formate da gas interstellare e polveri visibili all’interno della Nebulosa Aquila, a 7.000 anni luce di distanza da noi. La stessa immagine era già scattata dal telescopio Hubble nel 1995, ma ora ci arriva con una definizione infinitamente maggiore e con una portata scientifica molto rilevante.
    Era infatti il 1° aprile 1995 quando la Wide field and planetary camera 2 del telescopio spaziale Hubble catturava per la prima volta un’immagine diventata presto un simbolo dello spazio: le scure strutture tridimensionali ritratte nella foto, simili quasi a colonne rocciose o a stalagmiti, scoperte all’interno della regione di formazione stellare Nebulosa Aquila, vennero ben presto rinominate “Pilastri della Creazione”.
    Pilastri”, come detto, per la forma straordinariamente definita e longilinea, e “Creazione” invece non tanto perché legato al significato teologico quanto piuttosto perché quelle imponenti nubi gassose, composte da gas interstellare e poveri visibili, celavano al loro interno la nascita di nuove stelle. Nelle “piccoli” globuli gassosi alle estremità dei “pilastri” – lunghi anni luce – infatti, il gas interstellare è abbastanza  denso da collassare sotto il suo stesso peso, formando giovani stelle che continuano a crescere, accumulando sempre più massa dall’ambiente circostante.
    Di qui la straordinaria importanza scientifica, perché dallo studio della formazione interna dei pilastri è possibile imparare molto riguardo ai processi di formazione delle stelle. Per questi motivi, ma anche e soprattutto per l’indubbia valenza estetica e storica, la prima immagine scattata da Hubble fu considerata una delle migliori immagini spaziali mai scattate, e negli anni è stata usata in un numero enorme di pubblicazioni, film di fantascienza, documentari e stampata su qualsiasi cosa, dalle tazze ai cuscini passando per i francobolli.
    Da allora la Nebulosa Aquila è stata osservata molte altre volte: rivisitata nel 2014 dallo stesso Hubble, nel 2012 il telescopio della Esa (Agenzia spaziale europea) Herschel rilasciò una nuova immagine del complesso interstellare molto più definita grazie alle lunghezze d’onda del lontano infrarosso.
    Ora il James Webb, lanciato in orbita nel dicembre 2021 e già intento nell’esplorazione dei “confini” dello spazio, ha rilasciato grazie alla sua telecamera a infrarosso NirCamquesta nuova immagine, più ampia e ultra-dettagliata. L’immagine di Webb è riuscita infatti a catturare anche le nubi gassose meno opache, consentendo così di ottenere un’immagine estremamente dettagliata che dà l’idea della massiccia quantità di stelle presenti in quell’area e, soprattutto, di osservare anche l’espulsione di proto-stelle in formazione (le parti rosso vivo su alcune estremità), che secondo gli scienziati hanno solo poche centinaia di migliaia di anni. Inoltre la recentissima immagine di Webb, essendo riuscita a catturare una porzione più ampia rispetto alle precedenti, rivela per la prima volta che i pilastri emergono da una nube molto più grossa, conferendo questa forma sorprendentemente simile a quella di una mano protesa, che aggiunge una notevole componente simbolica e “poetica” alla scoperta scientifica. La formazione dovrebbe a questo punto più giustamente chiamarsi “la mano della Creazione”, ma ormai il nome difficilmente si può cambiare. Ad ogni modo, sapere di trovarsi di fronte ad uno dei luoghi sorgivi di nientemeno che le stelle difficilmente può non lasciare emozionati.
    Quello che invece neanche la potentissima telecamera di Webb è riuscita a immortalare è la presenza di altre galassie al di là delle nubi gassose: il cosiddetto “mezzo interstellare”, un mix di gas traslucido e polveri, ostacola la nostra visione dell’universo più profondo. Ma senza dubbio la nuova immagine di Webb testimonia di un livello scientifico neanche immaginabile fino a alcuni anni fa e apre a prospettive di ricerca molto promettenti, come si legge in una nota della Nasa: “La nuova visione di Webb aiuterà i ricercatori a rinnovare i loro modelli di formazione stellare, consentendo di fare conteggi più precisi delle stelle di nuova formazione e delle quantità di gas e polvere in questa regione. Col tempo, inizieranno a costruire una comprensione più chiara di come le stelle si formano ed esplodono da queste nubi polverose nel corso di milioni di anni”.
    Pietro Broccanello

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