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    Il gioco delle Potenze in Europa orientale, la questione dell’Ucraina, la Nato e la Difesa comune dell’Unione Europea.

    Il gioco delle Potenze in Europa orientale, la questione dell’Ucraina, la Nato e la Difesa comune dell’Unione Europea.
    1. Introduzione
    Assistiamo in questi giorni ad una contro-caduta del muro di Berlino, finita l’età dorata iniziata con gli Anni “90” del secolo scorso, nella quale il vecchio continente ha creduto che i conflitti non ci sarebbero più stati, che la democrazia avrebbe trionfato, che la cultura e l’economia avrebbero dominato la geopolitica e cancellato i confini (D. Taino – Corriere della Sera, 25 gennaio 2022, pag. 26).

    La NATO nei trent’anni dalla caduta del muro si è rafforzata e allargata di almeno mille chilometri. Quando l’Unione Sovietica crollò, il primo ministro britannico John Major confermò l’impegno a non ampliare l’Alleanza Atlantica, che allora aveva solo una piccola frontiera con la Russia, all’estremo nord della Norvegia. Oggi comprende gli stati baltici ed ex territori sovietici che si trovano a meno di duecento chilometri da San Pietroburgo e a seicento chilometri da Mosca. Degli otto stati che facevano parte del Patto di Varsavia, sette sono entrati nell’alleanza atlantica.

    Al vertice di Bucarest del 2008 gli Stati Uniti hanno convinto gli altri paesi NATO a dichiarare che Ucraina e Georgia avrebbero aderito all’alleanza. La promessa è stata ribadita nel dicembre 2021. Il Presidente Putin si è chiesto “cosa ci fanno gli Stati Uniti in Ucraina alle porte del nostro paese?” Ed ha aggiunto “dovrebbero capire che non abbiamo spazio per arretrare. Pensano che resteremo a guardare senza fare nulla?”. Il presidente russo è fortemente ostile all’ordine del dopo guerra fredda e al fatto che la Russia ne sia stata esclusa. Secondo lui gli Stati Uniti e i loro alleati europei hanno approfittato della debolezza della Russia, tra gli Anni “90” e l’inizio degli Anni “2000” infrangendo la promessa di non allargare la NATO, attaccando la Serbia nel 1999, sostenendo le “rivoluzioni colorate” contro i regimi filorussi in alcuni paesi ex-sovietici. I mezzi di informazione vicini al Cremlino hanno sostenuto che le recenti proteste contro il governo in Kazakistan sono la conseguenza degli sforzi dell’occidente per rovesciare gli alleati di Mosca (L’Internazionale da The Economist, 14-20 gennaio 2022 pag. 18-21).

    Secondo altri osservatori invece Mosca ha deciso di giocare con regole di potenza e desidera che il mondo vi si adegui ripudiando “l’autodeterminazione” di ogni singolo paese poiché ritiene che l’occidente democratico sia in declino irreversibile e incapace di opporsi (così D. Taino art. ult. citato). Ma è proprio così? In questo lavoro intendo rappresentare le ragioni storiche vicine e lontane delle parti in causa, riflettere sul ruolo che può giocare l’Unione Europea con la sua politica estera e di difesa comune, per il fine di preservare la pace nel continente europeo, perchè non vi siano altri “casus belli”, altre “Danzica” e “Sarajevo” (dal nome degli incidenti militari che hanno fomentato lo scoppio della seconda e della prima guerre mondiali).

    2. L’evoluzione della situazione sul campo

    Nel corso delle ultime settimane la Russia ha fatto affluire quasi centomila soldati lungo il confine con l’Ucraina, schierandoli in assetto di guerra. Le tensioni erano venute alla luce dopo le affermazioni del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, secondo le quali i servizi di sicurezza del suo paese, avevano raccolto prove di un complotto della Russia per un colpo di stato contro il suo governo. L’Ucraina chiedeva aiuto all’Occidente.

    Sul tema si era svolto un colloquio tramite zoom tra il presidente americano Biden e quello russo Putin. La presidente della Commissione Europea Ursula Von der Layen aveva minacciato sanzioni contro la Russia, mentre la Nato elevava al massimo il livello di allarme e gli Usa rifornivano con 80 tonnellate di munizioni l’esercito del paese orientale (Ian Bremmer – Corriere della Sera 6 gennaio 2022, pag 24).

    Nel contempo una grave rivolta popolare scoppiava in Kazakistan, paese tradizionalmente alleato di Mosca che inviava 2500 uomini dei corpi d’elite (spetznaz) ad Almaty, assieme a 500 bielorussi, 150 kirghizi, armeni, appartenenti al contingente della OTSC (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva), per controllare le infrastrutture vitali del paese, tra le quali i preziosissimi pozzi di gas naturale, ma senza aver alcun ruolo nella repressione di manifestanti e rivoltosi. Il leader kazako attuale Tokaev affermava che “la protesta è stata strumentalizzata da radicalismi religiosi, elementi criminali, banditi e teppisti. Sembra che alcuni manifestanti siano arrivati in città a bordo di autobus e in gruppi organizzati. Alcuni hanno dichiarato di essere stati pagati e dei video mostrano persone che rubano armi alla polizia” (L’Internazionale dal Financial Times, 14 – 20 gennaio 2022, pag. 22 a 25). Dopo la fuga della famiglia del vecchio dittatore Nursultan Nazarbayev le truppe del piccolo redivivo Patto di Varsavia sono state poi ritirate.

    L’11 gennaio si era svolto a Ginevra un primo round di incontri tra diplomatici americani e russi. Le parti in questo colloquio interlocutorio avevano rotto il ghiaccio e precisato le loro reciproche richieste. Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov definiva i colloqui come “aperti, completi e diretti” anche se aggiungeva “non vediamo alcuna significativa ragione per essere ottimisti” e che non si ipotecavano possibili futuri sviluppi poiché “ci sono ancora diversi round di incontri davanti a noi e questo ci permetterà sicuramente di farci un quadro più chiaro di dove siamo con gli americani. Al momento nessuna conclusione è possibile”.

    Le due parti in questa occasione avevano raggiunto reciprocamente, alcuni obiettivi politici positivi. Washington aveva potuto fissare i paletti di cosa fosse negoziabile e cosa non lo fosse; soprattutto a cominciare dalla richiesta russa di escludere categoricamente che l’Ucraina potesse aderire alla Nato. Il portavoce americano aveva anche ribadito che “nulla che riguardi l’Europa può essere deciso senza l’Europa”. La Russia si era assicurata il diritto di trattare allo stesso livello degli americani e a veder riconosciuto il proprio ruolo di grande potenza regionale (Paolo Valentino – Corriere della Sera del 12 gennaio 2022, pag. 18).

    Vi erano stati quindi altri due colloqui tra le delegazioni, nella città del lago lemano. L’inviata USA Wendy Sherman e il suo omologo russo Sergej Riabkov avevano certificato che i colloqui si erano cacciati in un vicolo cieco e che le posizioni erano distanti; questi affermava che non vedeva la necessità di altri summit, anche se gli statunitensi non li escludevano e alcuni osservatori lamentavano il rischio che la situazione sfuggisse di mano. Il ministro degli esteri polacco Zbigniew Rau affermava che “il rischio di una guerra nell’area Ocse non è mai stato così grande in trent’anni” (Paolo Valentino – Corriere della Sera 15 gennaio 2022 pag. 16). Il consigliere per la sicurezza nazionale americana Jake Sullivan aveva detto di temere finti sabotaggi e veri attacchi cibernetici in Ucraina; la Casa Bianca accusava Mosca di aver preparato un piano per simulare attacchi alle forze filo-russe dislocate nel Donbass. Sullivan dichiarava “è lo stesso copione adottato dal Cremlino per invadere la parte orientale del Paese nel 2014” (Giuseppe Sarcina – Corriere della Sera, 15 gennaio 2022 pag. 16). Le ambasciate dei paesi occidentali secondo notizie pervenute il 23 gennaio si preparavano ad evacuare il loro personale da Kiev, mentre un vertice tra i massimi esponenti delle due diplomazie – il segretario di stato americano Antony Blinken e il ministro degli esteri russo Sergeij Lavrov – si svolgeva all’Hotel President Wilson di Ginevra il 21 gennaio 2022.

    Il colloquio durava novanta minuti senza progressi e mutamenti nelle posizioni delle due parti. Blinken affermava “non ci aspettavamo progressi, ma ora cominciamo a capire meglio le richieste reciproche” Non vi era stata alcuna indicazione che gli Usa fossero pronti a venire incontro alle garanzie di sicurezza avanzate da Mosca, che voleva un impegno a non fare mai entrare l’Ucraina nella NATO, una riduzione dell’aiuto militare americano a Kiev e il ritiro delle truppe dell’Alleanza atlantica dai paesi dell’Europa centrale ed orientale, come la Bulgaria, la Romania e la Polonia (Paolo Valentino – Corriere della Sera, 22 gennaio 2022, pag.12).

    3. Le cause vicine e lontane della crisi

    Tra le cause vicine di questa crisi bisogna innanzitutto ricordare che nel 2019 gli Stati Uniti hanno denunciato il trattato sulle forze nucleari a medio raggio (Inf) che vietava il dispiegamento di missili con un raggio d’azione compreso tra i 5000 e i 500 chilometri; il pretesto era stato fornito dalla presenza sul campo di un nuovo tipo di missile russo circostanza che secondo Washington violava l’accordo. La controparte russa aveva però proposto una moratoria sul dispiegamento di questo tipo di armi; l’offerta era stata rifiutata dalla NATO e dagli americani, proprio sul presupposto della presenza di missili nucleari russi a breve raggio. Sempre i russi ritenevano che i sistemi antimissile statunitensi in via di realizzazione in Romania e Polonia, potessero essere riconfigurati per un uso offensivo. La propaganda russa ha insistito nell’affermare che sistemi missilistici schierati in Europa orientale, avrebbero potuto colpire la capitale Mosca nel giro di pochi minuti, dimenticando però di manifestare la circostanza che altrettanto potevano fare i missili da crociera russi, presenti nell’enclave di Kaliningrad e cioè colpire Berlino in pochissimo tempo. Un primo strumento di decompressione della tensione potrebbe essere costituito da una nuova convenzione sui missili intermedi, che preveda il divieto della loro presenza in Europa.

    Una seconda causa di crisi è costituita dall’uscita della Russia, (avvenuta nel 2015) dal trattato sulle forze armate convenzionali in Europa (Acfe) del 1999. Mosca accusava gli occidentali di non aver preso in considerazione le sue proposte di rafforzamento della fiducia reciproca, costituite dall’uso di strumenti elettronici di identificazione sugli aerei militari (transponders), le notifiche anticipate sui voli dei bombardieri a lungo raggio, l’allontanamento delle esercitazioni militari dai confini. Invece gli occidentali sostenevano che la Russia aveva aggirato le regole che imponevano di annunciare in anticipo le esercitazioni di vasta portata, facendosi finta che si fosse in presenza di una serie di più piccole e separate. Si imputava inoltre alla Russia di non essersi ritirata nei tempi stabiliti dalle repubbliche ex-sovietiche della Moldova e della Georgia.

    Sarebbe possibile un trattato su questi temi? Le parti potrebbero introdurre una maggiore trasparenza, anche se per la NATO non condurre esercitazioni ai confini della Russia vuol dire abbandonare i paesi baltici, mentre la Russia non potrebbe mai accettare di non svolgere i suoi war games nell’enclave di Kaliningrad o in Bielorussia. La prima costituisce la porta d’accesso alla Norvegia la seconda alla Polonia, entrambe paesi NATO (v. L’Internazionale da The Economist, cit. pag. 20).

    Ma il motivo principale della crisi in atto è costituito dall’allargamento dell’Alleanza Atlantica, avvenuto senza tener conto della realtà geopolitica. La studiosa americana Mary E. Sarotte su questo tema ha scritto un libro “Not One Inch” per i tipi della Yale University Press ed ha ricostruito, sulla base degli archivi personali dei protagonisti, la fine della guerra fredda.

    Il 9 febbraio 1990, il segretario di stato americano James Baker era a Mosca per saggiare le intenzioni di Gorbaciov, dopo la caduta del muro di Berlino. Egli si rivolse in questi termini al leader sovietico “ma se lei fosse favorevole alla riunificazione tedesca e noi fossimo d’accordo a non spostare la giurisdizione della Nato di un solo pollice verso est?”. Pochi giorni dopo Helmut Kohl sarebbe andato a Mosca per il famoso incontro che avrebbe realizzato il sogno tedesco della riunificazione. In questa occasione anche per la previa offerta di Baker, che aveva contribuito a rassicurare un Gorbaciov vacillante, l’allora leader russo si vide confermare verbalmente dal cancelliere tedesco, che la Nato non si sarebbe allargata nel territorio della Germania est. Ma Kohl diede una garanzia solo per la Germania e non per l’Alleanza Atlantica. La vaga promessa di James Baker non fu adempiuta, poiché le amministrazioni succedutesi negli Stati Uniti, nel corso degli anni 90 ritennero di poter stravincere la partita con la Russia, avvicinando basi, truppe, infrastrutture e armi nucleari a Mosca, mediante l’inclusione di sempre nuovi paesi dell’Europa orientale. Si realizzò così un grande danno alla cooperazione con la Russia, poiché prevalse una adesione non per fasi, ma secondo un modello unico e immediato, non privilegiandosi le possibili soluzioni alternative che ora potrebbero essere utilizzate anche per l’Ucraina secondo quanto avvenuto con la Norvegia. Questo paese pur essendo protetto dalla difesa collettiva prevista dall’art. 5 del Trattato, non ammette né basi nucleari né truppe alleate sul suo territorio (Paolo Valentino in Corriere della Sera del 6 gennaio 2022, pag. 32).

    Occorre inoltre ricordare che una adesione immediata e senza garanzie dell’Ucraina pone ulteriori problemi, per quanto concerne il diritto di accesso della Russia al Mar Nero e quindi agli stretti turchi e al Mar Mediterraneo. In caso di crisi la NATO potrebbe dispiegare sul territorio ucraino quelle che in termini militari si chiamano “bolle A/2-A/D”, sistemi terrestri e aerei (anti-denial) che inibirebbero alla Russia di accedere al Mar Nero. Il Donbass filorusso è geograficamente la porta d’accesso al Mar D’Azov e, attraverso questo, al Mar Nero. Non a caso in questi giorni è trapelata la notizia che le forze armate russe stanno svolgendo dalle basi della Crimea (principalmente dal porto militare di Sebastopoli) esercitazioni militari, in concomitanza con l’aggravarsi della crisi ucraina e che una formazione navale russa dopo aver varcato Gibilterra, si dirige verso le acque prospicienti il Sud dell’Italia.

    Il diritto della Russia di varcare gli stretti turchi è giuridicamente fondato; nasce da una precisa “consuetudine internazionale”, fonte del diritto internazionale ai sensi dell’art. 38 lettera b) dello statuto della Corte Internazionale di Giustizia. Si è formata addirittura a partire dal periodo zarista a seguito dei trattati firmati da impero russo, Francia, Gran Bretagna, Germania, dopo la dissoluzione dell’impero ottomano (convenzione di Londra del 1832 e trattato di Sèvres del 1920) Il diritto della Russia ad accedere al Bosforo e ai Dardanelli è poi ribadito dalla convenzione di Montreux del 1936. Evidentemente la firma di un trattato di adesione alla NATO dell’Ucraina ha quindi effetti verso una parte terza estranea. Principio generale del diritto dei trattati è quello che quest’ultima (la Russia) dovrebbe comunque accettarlo, secondo il noto brocardo pacta tertiis neque nocent nec prosunt. (Carlo Focarelli- Trattato di diritto internazionale, 2015 pag. 366).

    Il diritto della federazione russa di avere una politica autonoma nel Mediterraneo allargato si è manifestato in tempi recenti con la sua partecipazione alla lotta contro i terroristi Daesh e l’appoggio militare al regime alauita, in Siria. Ciò costituisce la continuazione della politica estera dell’Unione Sovietica, che aveva per decenni sostenuto la causa dei paesi arabi, nella loro difficile relazione con lo stato di Israele.

    Sarebbe quindi auspicabile che, ora come allora, nelle sedi in cui si esplica il diritto internazionale e la soluzione delle controversie (Consiglio di Sicurezza dell’Onu – Corte Internazionale di Giustizia) questi temi venissero dibattuti pacificamente, rifuggendosi dalla logica “fait accompli” che conduce solo a scontri e controversie con risvolti di violenza.

    4. La necessità della difesa comune della Unione Europea

    Kiev avrebbe voluto entrare nell’Unione Europea come le era stato promesso in passato ma si è dovuta accontentarsi di essere coinvolta nel “partenariato orientale”, un importante programma di aiuto finanziario e avvicinamento politico-economico alle ex repubbliche sovietiche. La diplomazia europea è stata esclusa dall’ultimo round di negoziati tra gli Stati Uniti e la Russia. L’alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell ha scritto ai ministri degli esteri “il nostro principale obiettivo dovrebbe essere garantire il coinvolgimento dell’Unione Europea in questo processo”. Al massimo i paesi europei hanno proceduto in ordine sparso, quando la crisi ha rischiato di precipitare, come per la lodevole iniziativa del presidente francese F. Macron, che ha telefonato il 29 gennaio scorso al leader russo per ascoltare le ragioni della dirigenza del paese euroasiatico e rassicurarla circa la volontà di negoziare.

    L’esclusione dell’Unione dalle trattative deriva dalla sua mancanza di unità a livello diplomatico, dal suo stato ancora embrionale di potenza nel campo della politica e della sicurezza internazionale, dalla circostanza che l’attuale crisi è presentata soprattutto come una questione militare. (L’Internazionale del 14-20 gennaio 2022 da The Irish Times pag. 17)

    Ma quali sono le difficoltà di una vera difesa comune europea? Per il commissario UE francese Thierry Breton occorrerebbe creare un Consiglio di sicurezza europeo che prepari le decisioni di un autonomo Consiglio dei ministri della difesa, all’interno delle formazioni che compongono il Consiglio europeo. Il problema di una autentica difesa europea è costituito dalla circostanza che i vari stati che compongono la UE hanno culture e risorse militari diverse tra di loro, una diversa percezione delle minacce esterne in base alla propria collocazione geografica alla propria storia e alle proprie ambizioni. Occorre innanzitutto definire il modello di difesa europea che si intende realizzare. Un unico “esercito europeo” o un coordinamento tra le difese nazionali? Probabilmente l’UE deve dotarsi di una difesa multilivello in cui i singoli stati mantengono le loro forze militari e l’Unione possa disporre di una capacità militare autonoma e separata sottoposta a controllo democratico utilizzabile sia dentro che fuori la NATO. Tutto ciò comporta una forte leadership politica (Sergio Fabbrini da Il sole 24 ore del 12 settembre 2021 pag. 8).

    La stessa Ursula Von Der Layen ha evidenziato la necessità che l’Unione Europea progredisca su questo terreno, denunciando che la sua mancata realizzazione è dipesa da una scarsa volontà politica. Josep Borrell ha auspicato la costituzione di una forza di intervento europea di 5000 uomini annunciando che durante la presidenza francese del Consiglio sarà convocato un vertice, per “migliorare la cooperazione in materia di intelligence e di cyber security” al fine di creare “un centro comune di conoscenza situazionale” (Francesca Basso dal Corriere della sera del 16 settembre 2021, pag. 14).

    5. Conclusioni

    L’attuale crisi va risolta con le armi della diplomazia e del dialogo e non con l’utilizzo degli strumenti di potenza, che hanno condotto a due sanguinose guerre mondiali. L’approccio e il rapporto con la Federazione Russa dell’UE e dell’Occidente deve essere onesto e costruttivo riconoscendone i diritti; da parte di quest’ultimo non devono essere utilizzati gli strumenti propagandistici, che preludono allo scontro, ma auspicare soluzioni graduali e pacifiche. L’Unione Europea deve individuare i suoi più genuini interessi, che non sono solo commerciali o legati all’afflusso di gas naturale e materie prime che viene assicurato generosamente all’Europa, ma soprattutto quelli dell’’integrazione pacifica (culturale, politica, umana) con il grande paese euroasiatico. La Russia ha contribuito in misura determinante alla salvaguardia della democrazia europea, e ha pagato un contributo altissimo di vite di suoi concittadini e con ingenti distruzioni materiali, per abbattere il mostro nazi-fascista. L’interesse precipuo dell’Europa è la sua stabilizzazione economica e crescita sociale. Ciò che unisce l’Europa alla Russia in termini culturali, politici e sociali è molto più di quello che li divide. Questa realtà va rappresentata non solo nelle sedi europee competenti e politiche e delle alleanze militari cui i nostri paesi partecipano, ma anche dai decisori politici e dai mass-media, ai cittadini europei in modo onesto trasparente e aperto.

    Questo articolo è stato redatto il 27 gennaio 2022, prima della invasione della Ucraina da parte dell’esercito russo ; il mio pensiero è che l’approccio dell’uso della violenza militare e non del dialogo e del confronto pacifico e diplomatico sia sempre da condannare non essendo aperto al rispetto delle persone e della sovranità degli stati e possibile di sviluppi imprevedibili.

    CESARE AUGUSTO PLACANICA

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