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    TERZO SETTORE E BANCHE POPOLARI DI CREDITO COOPERATIVO

    TERZO SETTORE E BANCHE POPOLARI DI CREDITO COOPERATIVO
    Il settore del credito popolare e cooperativo è stato recentemente sottoposto ad un’ampia revisione, con interventi normativi tesi a limitare la operatività e i principi di solidarietà delle banche popolari e delle ex casse rurali. Quella già attuata è una grande onda che ha travolto anche altri settori (enti locali, sanità, servizi pubblici essenziali, ecc.), dando per scontato che “piccolo” non èpiù “bello” e che “grande” è sempre utile, vantaggioso, economico, necessario. Per chi? Non certamente per i cittadini/utenti. Questo è il problema!
    Il nostro Parlamento con legge n.33/2015, su proposta del Governo, nel silenzio e senza alcun coinvolgimento né partecipazione delle Regioni (solo la Regione Lombardia ha fattoricorso alla Corte Costituzionale), ha approvato una profonda modifica dell’assetto delle banche popolari, con la trasformazione obbligatoria in S.p.a., nonostante la nostra Costituzione sia chiara quando prevede che fra le materie di competenza anche delle Regioni (legislazione “concorrente”) vi sono le “casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale”.
    Questa volta i governanti nazionali non hanno, neppure, potutoinvocare, le frequenti  “provvidenziali” direttive europee: il Parlamento Europeo, infatti, ha dichiarato che la struttura pluralistica del sistema bancario deve permettere forme giuridiche diverse e che l’economia europea necessita di una solida presenza di banche regionali e locali. La Commissione Europea, inoltre, ha chiarito che la disciplina delle banche popolari è compatibile col trattato UE e che le stesse sono legittime espressioni della libertà di impresa.
    Non si può, neppure, affermare che la citata legge mira solo a salvare o risanare situazioni di dissesto, perché la nuova normativa è applicabile solo se l’attivo supera otto miliardi di euro eprevedendo, in caso di rifiuto, che la Banca d’Italia può vietare di intraprendere nuove operazioni, che la BCE può revocare l’autorizzazione all’attività bancaria e che il Ministro dell’Economia può procedere alla liquidazione coatta amministrativa (manca solo l’ergastolo per gli amministratori!). Tutto questo, però, è evitabile,  se la banca si trasforma in s.p.a. (con il consenso “obbligato” dei soci e degli amministratori e senza alcun parere dei clienti, delle rappresentanze dei dipendenti, degli Enti Locali, della Regione).
    La trasformazione coatta, perciò, delle banche popolari in s.p.a,,unitamente alla forte riduzione dell’autonomia delle ex casse rurali (legge n. 49/2016), sono un concreto ridimensionamento della presenza del “terzo settore” nel campo del credito. Taleobiettivo (vedasi i casi di Veneto Banca e Popolare di Vicenza in Veneto ) non è ancora raggiunto in tutto il territorio nazionale e può, almeno in parte, essere fermato, invertendo la tendenza.Nello stesso settore delle ex casse rurali, ora Credito Cooperativo, inoltre, sono state create alcune Holding (ICREA , CASSA CENTRALE e RAIFFEISEN), per volontà della Banca d’Italia e della BCE, che hanno tolto alla banche locali grande quote di autonomia, prevedendo controlli burocratici e poteri ispettivi e sostitutivi tali da renderle “subordinate” ai poteri centralizzati, con l’obbligo di adottare uno statuto-tipo e di stipulare un contratto-tipo con la capogruppo.
    Le ex Casse Rurali potrebbero, invece, ancora contare in una diffusa rete di solidarietà, che ha permesso alle stesse di tutelare clienti e soci e addirittura aiutare, per ordine della Banca d’Italia,  con congrue risorse finanziarie, altre banche. Le piccole, cioè,hanno potuto aiutare le “grandi” e non viceversa, e le piccole sono riuscite sempre a tutelare i propri soci. Vi può essere talvolta, cioè, l’opportunità di procedere a fusioni o aggregazioni, ma ormai, sta passando il principio della necessità “a prescindere” e senza alcuna esigenza di dimostrarne l’esigenza.
    E pur si dovrebbe sapere che in diverse Regioni (senz’altro il Veneto) il sistema delle banche popolari e delle casse rurali, voluto da lungimiranti economisti, da molti parroci, da piccoli e medi imprenditori , da avveduti amministratori locali (ora sarebbero accusati di campanilismo), è stato ed è fonte diprogresso economico e di benessere sociale, con l’impiego di fondi per la casa, per iniziative socio-sanitarie, culturali,economiche, che hanno favorito lo sviluppo economico e sociale di numerose comunità.
    Ora il profitto, proprio delle s.p.a., sostituirà il lavoro e la solidarietà, e i futuri dirigenti delle Casse Rurali, doverosamente pluri-laureati e pluri-specializzati saranno impegnati soprattutto aproporre fusioni, esuberi, chiusure di sportelli, aumento delle commissioni , con l’assenza di proposte per aumentare le attività ed i servizi a favore delle famiglie e dell’imprenditoria locale. C’è bisogno, certamente, di eliminare sprechi, ma anche e soprattutto di fantasia imprenditoriale,  per nuove e diversificate iniziative nel settore della solidarietà e delle piccole e medie imprese .
    Se vi sono amministratori incapaci, si devono sostituire, se vi sono situazioni di crisi o di colpevole dissesto  si doveva e si deve intervenire, se bisogna migliorare l’efficienza si provveda anche con nuovi e/o diversi dirigenti, ma volere buttar via con “ l’acqua sporca anche il bambino” puzza di bruciato, di grandi interessi speculativi e finanziari, che nulla centrano con l’interesse dei cittadini, dei soci e della nostra economia.
    Luciano Falcier ex-parlamentare
    Componente Consiglio G. INSIEME

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