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    #Smartworking “smart” o meno, abbiamo tanta voglia di “working”.

    Partiamo dalle conversazioni di tutti i giorni.

    Che al di là dei dati ufficiali, hanno comunque le carte in regola per consentire delle riflessioni. Secondo molti, la voglia di essere “smart” ce l’abbiamo tutti. Forse anche le capacità. Quella di fare “working” un po’ meno. Secondo altri, “smart” o meno che siamo diventati, di voglia e necessità di “working” ne abbiamo tanta. E siamo pronti a ripartire. Ad un anno, quasi, dall’inizio di questo stallo forzato nella pandemia non tutti (forse) hanno saputo coordinare vita professionale e privata in maniera responsabile. In modo sostenibile. Siamo tuttavia alla resa dei conti. Una volta per tutte. Viviamo il momento in cui la sostanza prenderà il sopravvento sulle videochiamate. E’ ora di pettinarsi per tornare in ufficio, sostituendo il pigiama con gonna e pantaloni, le ciabatte con un paio di scarpe, la buona cucina domestica, ahimé, con il panino del bar sotto l’ufficio (non preoccupatevi: c’è sempre la versione vegetariana).

    Ne parlavo ieri, ma è solo un esempio tra i tanti, con una guida turistica, impegnata sul coordinamento delle attività di sua competenza nell’area del Lago di Como. Il lavoro timidamente arriva. Anzi, il lavoro è così timido che non bussa ancora alla porta; non osa nemmeno disturbarti al telefono, nel suo caso. Manda delle email. Generiche nella data (colpa dei DPCM), dettagliate nei contenuti. Alle richieste, ci è stato insegnato, si risponde quanto prima possibile, con tutte le informazioni disponibili. Ivi compreso un preventivo, se richiesto. La difficoltà dichiarata da questa guida, che per convenzione chiamerò Miss Turismo, è proprio quella di avere per tempo, da partner e collaboratori, le informazioni per proseguire. Cose che un anno fa si facevano nel giro di mezza giornata, oggi si fanno nell’arco di due o tre giorni. Possibile?

    Miss Turismo, tuttavia, non è l’unica a lamentarsi. Mr. Super Manager, ad esempio, (s)parlando di alcuni colleghi di pari livello, spiega cosa succede in alcune aziende. Direttori che rimandano una moltitudine di call o riunioni in presenza, di mese in mese. Alle volte, più audaci, a data da destinarsi. Fingono di essere impegnati, ma stanno semplicemente abusando della casa in montagna. Pochi se ne rendono conto, ma si trasformano nei diretti responsabili di una serie di meccanismi che funzionano con il rallentatore. Altro che congiuntura dei mercati.

    Non ultimo, giusto per parlare di tutti (e affinché tutti abbiano qualcosa di cui parlare), Mr. Impiegato Responsabile. Ho parlato anche con lui. Il fatto di non poterne citare il nome non significa che non sia vero. Anzi, in questo caso specifico, posso assicurare che si tratti proprio di una persona capace, professionale, paziente e volenterosa. Senza grosse ambizioni forse. Ma con un equilibrio invidiabile tra lavoro e famiglia. “Il rientro, spiega o ammette, è sempre più difficile”. Se da una parte alcune aziende hanno fatto ancora poco per organizzare diversamente i processi lavorativi, dall’altra alcuni dipendenti di grandi o piccole realtà faticano a rimettersi sui binari precedenti: quelli fatti di levataccia, otto ore in ufficio, dubbia pausa pranzo e ritorno alle mura domestiche dopo almeno un’ora di traffico. Come biasimarli?

    La verità? Sta nel mezzo. E’ stato un anno difficile, soprattutto per i molti che hanno avuto a che fare con il nemico invisibile. Quanto agli altri, bisogna ammettere che molti hanno saputo dimostrare, prima di tutto a se stessi, di essere capaci di amministrare diversamente la propria vita. Di poter lavorare con successo per rendere la propria vita privata o familiare più sostenibile. Lavorare sapendo di poter stendere una lavatrice ogni tanto o di poter recuperare il figlio a scuola tra una call e l’altra, garantisce una certa soddisfazione personale, che genera conseguenze positive anche sul lavoro. Se fatto bene, si rimane più attivi che in precedenza. Scadenze e appuntamenti, in questo caso, sono fitti. Anzi, più sono fitti e più aiutano a rimanere vigili, attenti su tanti fronti. Così, senza particolari accorgimenti o procedure, siamo comunque diventati “smart”. Senza corsi aziendali, siamo diventati “smart”. Si tratta solo di esperienza. Vuoi lavorare in maniera “agile”? Detto, fatto. Abbiamo imparato a saltare da una dimensione (quella professionale), all’altra (quella domestica o privata), cambiando i vestiti ma rimanendo in ciabatte. Abbiamo imparato a fare una call in punta di piedi evitando i giocattoli sparsi nel salotto; oppure nascondendoci in cantina dai rumori molesti della famiglia, con un ufficio di repertorio sullo sfondo della telecamera. Se questo non fosse “smart”, cos’altro dovrebbe esserlo? E se invece non lo fosse, non è sufficiente per rappresentare la nostra voglia di ricominciare con il “working”?

    Quanto agli altri, quelli che fanno i furbetti, quelli che approfittano del mood smart, ma fanno poco working, c’è poco fare. Semmai ricordate loro che questo è il tempo della sostanza. E la sostanza, di solito, è meritocratica.

    Marco Menoncello

     

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