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sabato, Luglio 27, 2024
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    Home Economia Castelli in aria

    Castelli in aria

    Castelli in aria

    Il vice Ministro all’economia Castelli è un caso di studio molto interessante alla voce “distacco dalla realtà”. E questa è una affermazione generale, solo in parte collegata all’ultima boutade sui ristoranti, sia chiaro. Quando l’esponente Grillina invita i ristoratori a cambiare mestiere in caso di crisi, è evidente che qualcosa si sia rotto. Non solo nella comunicazione, ma proprio nella funzione del Governo. A lei sarà parso, probabilmente, di dire una banalità: domanda ed offerta si sono spostate. Se vivevate con scuole e uffici, forse vi conviene pensare ad una exit strategy. Siate resilienti. E allora, da un punto di vista liberale, cosa ha detto di sbagliato?

    E, soprattutto, siamo sicuri che il problema sia la dichiarazione? Io non lo sono affatto. Secondo me è il contesto, ad essere sbagliato. E la storia. Oh, soprattutto la storia. Ma partiamo con il presente. Alitalia. Sì, certo, Alitalia: perché la pizzeria Bella Italia deve chiudere ed Alitalia no? Cos’ha di strategico un baraccone con costi fuori dal mondo? Oggi la domanda turistica, che poi è il motivo per tenere su una compagnia pubblica di aerei, si è spostata. Alitalia invece è ancora, pacifica, là e la manterremo noi. Bonus vacanze: la domanda si era spostata pure prima del Covid verso le piattaforme digitali. Ecco, il bonus vacanze le esclude, a vantaggio delle agenzie turistiche. Ma loro non devono cambiare mestiere. Possono intermediare i soldi pubblici per sopravvivere.

    Questi sono solo due esempi. Ma in generale sono cinquant’anni che lo stato dirige passo passo l’economia. Da venti ci racconta che gastronomia di lusso, turismo e territorio sono il nostro petrolio. Che incentivano la cosa. In venti anni, in quanti ci hanno creduto e su questa base hanno aperto? Ed in quanti hanno fatto investimenti folli per portare servizi di qualità sotto gli uffici? I centri storici, desertificati dalle ZTL, erano ormai quasi solo appannaggio dei ristoranti. Avete distrutto la manifattura (mi riferisco agli alfieri di questa visione bucolica) ed il commercio per salvare il presidio culinario della vacca dal bacino rospiforme del Piemonte meridionale, cucinata da Pierino lo Storpio. Oggi, se Pierino è in crisi, gli dite che forse doveva accorgersi che i sessanta euro al chilo a cui la vendeva non erano una grande idea e deve cambiare mestiere? Ma davvero?

    Se pure la Castelli avesse ragione, lo Stato non può raggiungere questi livelli di ipocrisia. O meglio, può, ma non dovrebbe. Soprattutto dopo che i ristoratori hanno pagato un prezzo carissimo per la campagna di terrorismo messa in campo perché la quarantena funzionasse. La gente sta a casa, perché salva vite. Glielo avete detto voi. E sta continuando anche dopo la fine del periodo peggiore. Il mercato è cambiato in questi sei mesi? Ma certo che è cambiato. Se però vi siete incaricati di combatterlo (come i Grillini da sempre fanno), adesso non gli potete dire alla gente di arrangiarsi. Cioè, potete. Poi però non lamentatevi se finirete come la vostra augusta antenata metaforica, Maria Antonietta, che invitava il popolo senza pane a mangiare brioche.

    Capiamoci, la soluzione non è certo quella spinta da Sala, ovvero rinunciare allo smart working così la gente sarà costretta a mangiare fuori. Questa è follia. La soluzione è rendere l’impresa una scelta razionale anche per individui sani di mente. Ad oggi siamo, mi ci metto dentro anche io, in cinque milioni di folli ad investire in questo paese. Domani, senza il delirio che viviamo ogni giorno, potremmo essere il doppio. E chiudere il ristorante per aprire qualcos’altro diventerebbe magari una prospettiva attraente. Se aprire non significasse una condanna ai lavori forzati. Se chiudere non fosse una morte civile. Se produrre, in questo assurdo bel paese, non fosse la peggiore delle colpe.

     

     

    Luca Rampazzo

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