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martedì 24 Giugno, 2025
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Stretto di Hormuz a rischio dopo l’attacco USA: benzina e gas verso nuovi rincari

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Nella notte tra sabato 21 e domenica 22 giugno, gli Stati Uniti hanno colpito alcuni siti in Iran, che secondo fonti internazionali sarebbero legati al programma nucleare di Teheran. Un’azione che ha immediatamente riacceso il timore di una risposta militare da parte iraniana, in particolare attraverso il possibile blocco dello Stretto di Hormuz. Si tratta di un tratto di mare strategico, largo appena 29 miglia nautiche nel punto più stretto, che collega il Golfo Persico con il Golfo di Oman e l’Oceano Indiano. Qui transita ogni giorno circa un terzo del petrolio trasportato via mare in tutto il mondo e il 20% del gas naturale liquefatto (GNL). Lo Stretto di Hormuz, oggi, è il punto più vulnerabile dell’economia globale. Un suo blocco paralizzerebbe il commercio di petrolio e gas, spingendo verso l’alto il prezzo di benzina, diesel ed energia, con conseguenze pesanti per famiglie e imprese in tutto il mondo.

Nel 2023, secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE), attraverso lo Stretto di Hormuz sono passati 20 milioni di barili di petrolio al giorno, pari a quasi il 30% del commercio mondiale di greggio. Il 70% di questo petrolio era diretto all’Asia, in particolare a Cina, India e Giappone. Le infrastrutture alternative sono limitate: gli oleodotti terrestri di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti possono deviare solo 4,2 milioni di barili al giorno, cioè poco più di un quarto del flusso abituale. Anche il gas naturale liquefatto è a rischio: nei primi dieci mesi del 2023, 90 miliardi di metri cubi (bcm) di GNL sono transitati per lo Stretto. Questo gas, trasportato in forma liquida a meno 160 gradi per facilitare la distribuzione via nave, rappresenta una fonte energetica fondamentale. L’80% di questi volumi era destinato ai Paesi asiatici, il restante 20% all’Europa.

Già nei giorni precedenti all’attacco, il solo rischio di un’escalation aveva provocato un aumento del 13% del prezzo del greggio. Ora il pericolo è concreto: secondo Goldman Sachs, un blocco prolungato potrebbe spingere il petrolio sopra i 100 dollari al barile, mentre ING stima un possibile picco fino a 120 dollari. In uno scenario del genere, diventerebbe inutilizzabile anche la capacità produttiva inutilizzata dell’OPEC, cioè la quota di produzione di petrolio che alcuni Paesi, soprattutto Arabia Saudita ed Emirati, tengono in riserva e possono attivare rapidamente in caso di emergenza. Questa capacità serve normalmente per stabilizzare il mercato in situazioni di crisi, ma è concentrata proprio nella regione del Golfo: se i flussi venissero bloccati nello Stretto, nemmeno queste scorte potrebbero essere immesse sul mercato, aggravando ulteriormente la crisi.

 

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