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    Lavoro e fuga talenti: per il 65% delle imprese priorità al cambiamento culturale e organizzativo

    Lavoro e fuga talenti: per il 65% delle imprese priorità al cambiamento culturale e organizzativo

    Presentati i risultati della ricerca “The future of Work 2021” di Osservatorio Imprese Lavoro Inaz e Business International. Consolidati digitalizzazione e smartworking, attenzione puntata sulle sturategie di employer branding e sullo sviluppo di nuovi modelli di leadership.

     

    Se il lavoro non fa stare bene, allora si cambia e con molte meno remore di un tempo. Una tendenza che si è accentuata dopo la pandemia: negli Stati Uniti sono circa 23 milioni i dipendenti che hanno lasciato volontariamente la propria azienda tra aprile e settembre 2021 e il fenomeno è molto dibattuto anche in Italia, con le direzioni del personale italiane alla ricerca di soluzioni per contrastarlo. Tanto che il 65% delle aziende indica come prioritario il cambiamento culturale e organizzativo, il 55% intende introdurre nuove strategie di compensation e il 48% si pone come obiettivo l’aumento dell’attrattività per i talenti.

    È quanto emerge dalla ricerca The Future of Work 2021, quarta edizione dell’analisi sul futuro del mondo del lavoro realizzata annualmente da Osservatorio Imprese Lavoro Inaz e Business International, volta a cercare di comprendere come i responsabili delle risorse umane interpretano e si preparano ad affrontare i principali cambiamenti in atto e i trend previsti per i prossimi mesi all’interno delle proprie organizzazioni. 

    Se i risultati di un anno fa mostravano evidenti preoccupazioni per la crisi economica innescata dalla pandemia e in primo piano veniva posta la necessità di digitalizzarsi e gestire lo smartworking, sotto la spinta dell’emergenza, adesso il vento è cambiato: “Sulla scia dei segnali di ripresa, questi temi sono dati per assodati e le priorità sono altre – ha commentato Linda Gilli, Cavaliere del Lavoro, presidente e AD di Inaz -: far stare bene le persone al lavoro, che non è più un luogo fisico, ma un mondo intero fatto di valori, creatività e senso di appartenenza. I lavoratori sentono la necessità di modelli organizzativi e culturali diversi da quelli del passato e, se non li ritrovano nella loro azienda, fuggono».

    La survey The Future of Work 2021, presentata recentemente nel corso di HR Business Summit, ha interrogato le direzioni del personale di 100 grandi aziende italiane. Alla domanda sulle priorità dell’azienda la voce più votata è stata quella relativa al cambiamento culturale e organizzativo (65% delle risposte), seguita a grande distanza dalla digitalizzazione dei processi (42%, mentre un anno fa era al 67%). Anche per quanto riguarda l’area delle iniziative progettuali e degli investimenti, il quadro appare completamente mutato rispetto allo scorso anno, con le strategie di compensation che balzano dal quarto posto (36%) al primo con il 55%.

    Lo smartworking, che nel 2020 era al primo posto catalizzando l’attenzione del 60% degli HR manager, oggi scende al terzo, con il 48% delle preferenze. Questo perché le aziende hanno ormai adottato, regolato e imparato a gestire il lavoro agile, senza alcuna intenzione di tornare indietro dopo l’emergenza: dà questa indicazione il 73% del panel, in aumento del 9% rispetto al 2020. Dopo un anno e mezzo di esperienza con il lavoro a distanza la ricerca ha voluto verificare come evolve la percezione delle criticità, ed emerge che le due aree che destano maggiore preoccupazione sono il senso di appartenenza dei collaboratori, che sale dal secondo al primo posto con un +4%, e l’evoluzione della leadership e gestione dei team basata sulla fiducia e l’assegnazione e il monitoraggio degli obiettivi. E proprio sui modelli di leadership la risposta ha superato le aspettative: quasi il 90% degli intervistati ritiene che dovranno evolvere per accompagnare le trasformazioni culturali in atto.

    Infine, per quanto riguarda gli investimenti specifici per l’area HR, l’obiettivo più indicato è quello di essere di supporto al business (55% delle risposte), seguito dal raggiungimento di una maggiore capacità di retention – lo scorso anno all’ultimo posto – e di una maggiore attrattività per i talenti grazie all’employer branding, entrambe opzioni con il 48% delle preferenze.

    Passato il primo shock dovuto alla pandemia – ha spiegato Fabrizio Lepri, Docente di Ingegneria gestionale presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza commentando i risultati –, oggi ci si rende conto che, se per le competenze tecnologiche ci si è riusciti ad attrezzare anche in tempi relativamente brevi, sul piano della cultura aziendale, dell’ascolto dei dipendenti, della valorizzazione delle competenze e del cambio di mentalità richiesto alla leadership c’è ancora del lavoro da fare”.

     

    Micol Mulè

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