Nel 2024 l’occupazione in Italia ha registrato una decelerazione. Secondo quanto rilevato dalla Banca d’Italia nella sua relazione annuale, la domanda di lavoro ha continuato a beneficiare della moderata crescita salariale degli ultimi tre anni, che ha reso la manodopera relativamente più conveniente rispetto ad altri fattori produttivi. L’espansione dell’occupazione ha coinvolto tutti i settori, con una prevalenza di posizioni a tempo indeterminato e un incremento concentrato tra i lavoratori più anziani. Tuttavia, rispetto al 2023, la domanda si è indebolita, in particolare per i giovani e per i contratti temporanei, più sensibili alle fluttuazioni del ciclo economico.
In un contesto di rallentamento dell’attività economica, il numero degli occupati e le ore lavorate sono aumentati rispettivamente dell’1,6% e del 2,1%, contro l’1,9% e il 2,5% dell’anno precedente. La crescita è stata trainata principalmente dal lavoro dipendente a tempo indeterminato, mentre il lavoro a termine ha subito un calo. L’occupazione autonoma è aumentata in misura più contenuta, rimanendo ancora al di sotto dei livelli pre-pandemici.
L’aumento delle posizioni permanenti ha riguardato soprattutto i lavoratori con almeno 50 anni, un trend influenzato sia dall’invecchiamento della popolazione sia dal rallentamento dei flussi in uscita dal mercato del lavoro, anche a causa degli effetti delle precedenti riforme pensionistiche. Al contrario, si è osservata una riduzione delle assunzioni a termine e tra i più giovani.
Dopo tre anni di crescita sostenuta, il numero di persone attive è salito nel 2024 solo lievemente, con un incremento dello 0,3% pari a circa 70.000 persone. Questo rallentamento riflette la sostanziale stabilità del tasso di partecipazione, che resta su livelli storicamente elevati per l’Italia (66,6%). L’aumento dell’offerta di lavoro tra gli over 55 ha compensato il calo nelle fasce d’età più giovani, colpite sia da una forte riduzione demografica sia da una maggiore sensibilità agli andamenti ciclici dell’economia.
Dopo la pandemia, la partecipazione al mercato del lavoro era cresciuta rapidamente, superando nel 2023 i livelli del 2019 di 0,6 punti percentuali per la fascia 15-74 anni e di 0,9 per quella 15-64 anni. Nel 2024 questa tendenza si è interrotta. Il tasso di partecipazione dei più giovani (15-34 anni) è tornato ai livelli pre-pandemia, mentre quello dei lavoratori più anziani (50-74 anni), meno colpiti dalla crisi sanitaria, ha continuato a crescere con forza, in linea con l’andamento degli ultimi vent’anni.
Nella fascia di età 35-49 anni, il contributo positivo alla partecipazione è stato determinato esclusivamente dalla componente femminile. Tuttavia, il tasso di attività resta in Italia più basso rispetto alla media europea di 8,8 punti percentuali, un divario che tra le donne raggiunge oltre 13 punti: il tasso di attività femminile è infatti di poco inferiore al 58%, contro una media UE del 71%.
Tra i giovani, si evidenzia una dinamica negativa di lungo periodo, legata all’aumento dei livelli di scolarità. Il loro tasso di partecipazione al mercato del lavoro risulta particolarmente sensibile all’andamento del PIL: per ogni punto percentuale di crescita economica, si registra in media un aumento di oltre 0,2 punti nel tasso di attività giovanile.
Questo si spiega con la maggiore diffusione di contratti a termine tra i giovani, che tendono a essere trasformati in stabili durante le fasi espansive e non rinnovati in periodi di contrazione. Inoltre, la possibilità di rientrare in percorsi di studio rende i giovani più inclini a uscire dal mercato del lavoro in momenti di difficoltà economica. Tale dinamica ha contribuito a frenare il tasso di attività giovanile negli ultimi due anni.
L’immigrazione ha contribuito in parte a compensare la riduzione della popolazione italiana in età lavorativa. I lavoratori stranieri sono impiegati soprattutto in posizioni a basso salario e con contratti meno stabili rispetto ai lavoratori italiani.
Nel 2024 il tasso di disoccupazione è sceso al 6,5%, il valore più basso degli ultimi 17 anni. Il calo è stato particolarmente evidente tra i giovani tra i 15 e i 24 anni, per i quali tuttavia il tasso di disoccupazione resta ancora elevato, al 20,3%, cioè 5,4 punti sopra la media UE.
La quota di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano né lavorano (i cosiddetti NEET) è diminuita di quasi un punto, attestandosi al 15,2%. I miglioramenti più significativi si sono registrati nel Mezzogiorno: dal 2019, il divario nel tasso di disoccupazione rispetto al Centro-Nord si è ridotto da 10,8 a 7,5 punti percentuali, mentre quello relativo alla quota di NEET è passato da circa 17 a circa 12 punti percentuali.
Gloria Giovanditti