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    IL CODICE MATTEO

    IL CODICE MATTEO

    Il Codice degli Appalti proposto da Matteo Salvini rappresenta un passo importante nella semplificazione e nell’efficienza del sistema di appalto pubblico in Italia. La riforma ha introdotto importanti novità, come la possibilità di scegliere società di servizio in base alla qualità dell’offerta, anziché al prezzo più basso. Questa scelta permetterà di selezionare aziende in grado di offrire servizi e prodotti di alta qualità, premiando così l’eccellenza e la professionalità. E fin qui tutto bene.
    La riforma semplificherà notevolmente le procedure burocratiche consentendo un risparmio di tempo e di risorse per gli enti pubblici. Il Codice prevede l’introduzione di strumenti che garantiscono una maggiore trasparenza nel processo di appalto, come la pubblicazione online degli avvisi di gara garantendo alle imprese interessate la possibilità di partecipare in modo equo e trasparente alle procedure di appalto. E fin qui tutto bene. In un paese come l’Italia dove la burocrazia rende quasi impossibile sbloccare i lavori pubblici, il Codice degli Appalti sbloccherà un gran numero di interventi strutturali dando lavoro a migliaia di persone.

    E fin qui tutto bene, se non fosse che essendo quella degli Appalti una riforma di centro destra, l’opposizione deve scatenare la sua furia ideologica e preconcetta per attaccare il nuovo Codice. Giuseppe Busia, un nome sconosciuto fino a lunedì scorso, ma presidente dell’ANAC, ovvero l’Autorità Nazionale Anticorruzione è saltato fuori come un fungo a novembre e con piglio professionale ci ha ricordato che: “Per i lavori fino a 150 mila euro e le forniture di servizi fino a 140 mila euro si può ricorrere all’affidamento diretto, col rischio che, soprattutto nei piccoli Comuni, questi contratti vengano stipulati in virtù di relazioni personali se non di parentela, anziché sulla bontà delle offerte o della qualità delle ditte spingendo le stesse a investire di più sulle relazioni personali col decisore pubblico che sulla qualità della prestazione. Insomma, sotto i 150 mila euro va benissimo il cugino o anche chi mi ha votato e questo è un problema”. E in un’altra occasione ha aggiunto: Il codice Salvini ha tanti buoni aspetti, come la parte sulla digitalizzazione, il problema è il sacrificio della trasparenza in favore della velocità”.

    In linea di massima potremmo condividere le affermazioni di Busia, e riteniamo che gli organi di controllo siano fondamentale nella gestione dell’assegnazione degli appalti, ma la domanda sorge spontanea. Dove era il presidente dell’ANAC quando gli appalti andavano in mano alla mafia che ha un giro di affari di 40 miliardi l’anno, pari al 2% del Pil italiano, seconda sola al fatturato di Enel ed Eni? Ammettiamo che l’infiltrazione mafiosa sia un problema profondamente endemico per essere risolto, ma allora chiediamo perché non abbiamo sentito intervenire il paladino della trasparenza sul Superbonus ristrutturazioni 110% dei governi Conte II e Draghi, quando le casse dello Stato sono state frodate per diversi miliardi di euro a causa di controlli inesistenti? E infine, perché nessuno all’ANAC si è scomodato a criticare i milioni frodati dal Reddito di Cittadinanza?

    Giovanni Zola

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