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martedì 30 Settembre, 2025
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Spreco alimentare: l’Italia migliora ma resta oltre la media UE

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In Italia si spreca ancora troppo cibo. Nonostante un miglioramento negli ultimi dieci anni, il nostro Paese resta sopra la media europea. Secondo il rapporto 2025 di Waste Watcher International, ogni cittadino butta via in media 555,8 grammi di alimenti a settimana: un calo rispetto ai 650 del 2015, ma ancora ben lontano dall’obiettivo fissato per il 2030, pari a 369,7 grammi. Un traguardo difficile da raggiungere se non si accelera con politiche più incisive e un cambiamento culturale profondo.

Il confronto con gli altri partner europei non è incoraggiante: Francia, Spagna, Germania e Paesi Bassi sprecano meno dell’Italia, dimostrando che ridurre gli scarti è possibile. I dati interni, inoltre, raccontano di un Paese a più velocità: al Nord e al Centro lo spreco settimanale pro capite è inferiore alla media nazionale, mentre al Sud si supera abbondantemente il mezzo chilo a testa. Fattori socioeconomici, infrastrutturali e culturali incidono sulle abitudini, così come la disponibilità di reti di recupero e redistribuzione alimentare.

Il problema, però, non riguarda solo l’Italia. A livello globale si sprecano ogni anno oltre un miliardo di tonnellate di cibo, un terzo della produzione complessiva. Con conseguenze pesantissime: lo spreco alimentare genera circa il 10% delle emissioni mondiali di gas serra – cinque volte quelle dell’intero settore aereo – e comporta un uso insensato di risorse naturali. Quasi un terzo dei terreni agricoli coltivati, pari a 1,4 miliardi di ettari, produce cibo che non verrà mai consumato.

In Italia, qualcosa sta cambiando. L’inflazione alimentare degli ultimi anni, con aumenti dei prezzi anche del 3-4% in pochi mesi, ha spinto molte famiglie a pianificare meglio la spesa e a ridurre gli acquisti impulsivi. Cresce la sensibilità verso l’impatto ambientale dei prodotti, mentre i più giovani si distinguono per pratiche virtuose: riutilizzo degli avanzi, condivisione del cibo, acquisti stagionali e attenzione alle filiere corte. Anche la legge Gadda, in vigore dal 2016, ha favorito un migliore rapporto tra imprese della filiera produttiva e mondo del volontariato, semplificando le donazioni di eccedenze.

Tuttavia, come sottolinea la Fao, la consapevolezza individuale non basta. Per ridurre davvero lo spreco serve una trasformazione strutturale: logistica più efficiente, etichette più chiare e uniformi, incentivi alla redistribuzione e un sistema educativo che metta al centro il valore del cibo.

In questo contesto si inseriscono le raccomandazioni dell’Istituto superiore di sanità, che ha diffuso un decalogo pratico per i cittadini: pianificare la spesa in base a ciò che già si ha in casa, cucinare porzioni adeguate, interpretare correttamente le etichette (“da consumarsi entro” non è la stessa cosa di “preferibilmente entro”), riutilizzare gli avanzi con creatività, chiedere la doggy bag al ristorante e donare le eccedenze. Buone pratiche quotidiane che, se adottate su larga scala, potrebbero fare la differenza.

Ridurre lo spreco alimentare non è quindi solo un gesto di responsabilità individuale, ma un passo decisivo verso un modello più sostenibile, in grado di abbattere i costi economici e ambientali e di rafforzare la sicurezza alimentare. Con meno cibo sprecato, l’Italia potrebbe allinearsi ai migliori standard europei e contribuire concretamente agli obiettivi globali di lotta al cambiamento climatico.

Gloria Giovanditti

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