C’è un momento in cui le economie devono decidere se restare ancorate a ciò che conoscono o abbracciare davvero il futuro. Per Mario Draghi questo passaggio non è più rinviabile. Dal palco del Politecnico di Milano ha parlato direttamente alle imprese europee: senza un salto deciso nell’Intelligenza Artificiale, il continente rischia di indebolire la propria capacità di crescere. A sostegno di questo allarme c’è un dato che racconta da solo la distanza da Stati Uniti e Cina: nell’ultimo anno sono stati sviluppati 40 modelli avanzati negli USA, 15 in Cina e soltanto 3 nell’Unione Europea. Numeri che mostrano come la corsa globale all’AI proceda a velocità differenti e quanto l’Europa fatichi a trasformare la tecnologia in un vero motore economico.
Le analisi più recenti aiutano a capire il contesto in cui si inserisce questo avvertimento. Lo State of European Tech di Atomico mostra un continente che si è ampliato, ma non ha accelerato abbastanza. Le aziende tecnologiche finanziate oggi sono quasi 40mila, contro le 13mila del 2016, e il comparto vale circa 4mila miliardi di dollari, pari al 15% del Pil europeo. Anche gli investitori sono più numerosi, arrivando a 2.850, più del doppio rispetto a otto anni fa. Tuttavia, collaborazioni tra imprese e startup restano poco frequenti — solo una azienda su cinque ne attiva — e gli appalti pubblici orientati al digitale si fermano al 9%, molto lontani dagli standard statunitensi. Il quadro si complica ulteriormente guardando al lato infrastrutturale: secondo il Microsoft AI Diffusion Report, l’Europa dispone di una base tecnologica ampia ma non sufficiente a sostenere la crescente domanda di calcolo dei nuovi modelli. Gli Stati Uniti hanno accumulato un vantaggio che negli anni è diventato difficile da colmare, mentre la Cina procede con una strategia coordinata che lega produzione di chip, servizi cloud e industria.
L’insieme di questi fattori restituisce l’immagine di un continente che ha competenze diffuse, una ricerca di alto livello e un numero crescente di imprese innovative, ma che fatica a trasformare queste risorse in prodotti e soluzioni capaci di competere sulla frontiera globale. La distanza non nasce dalla mancanza di talenti, ma dal ritmo con cui l’innovazione riesce a diventare realtà industriale. Draghi invita a leggere questo passaggio come decisivo: senza una maggiore rapidità nelle scelte, l’Europa rischia di restare in una posizione intermedia, non arretrata ma neppure protagonista. Il messaggio finale è rivolto ai giovani, che devono poter trovare in Europa le stesse opportunità presenti altrove. E per imprese e dirigenti la conclusione è chiara: la competitività dei prossimi anni dipenderà dalla capacità di adottare l’AI e di far crescere un ecosistema che permetta ai progetti europei di affermarsi davvero.






