Iveco frena, e stavolta la curva rischia di fare sbandare. Il terzo trimestre si chiude con un segno meno che pesa: i ricavi scendono a 3,1 miliardi di euro contro i 3,2 di un anno fa, quelli industriali scivolano da 3,1 a 3 miliardi e l’utile netto adjusted crolla da 94 a 40 milioni di euro. Il risultato per azione? Da 0,35 a 0,15 euro. Una frenata secca, che costringe il gruppo a rivedere al ribasso le sue previsioni: i ricavi industriali 2025 non scenderanno più del 3-5%, ma del 4-6%; l’Ebit adjusted si comprime in una nuova forchetta 680–730 milioni, lontana dagli 880–980 milioni previsti. Sul free cash flow industriale, invece, niente nuove indicazioni.
Dentro ai numeri, il quadro delle business unit è un patchwork di segnali misti. I bus tengono botta, anzi rilanciano, grazie a un accordo quadro titanico: fino a 4.000 mezzi a basse e zero emissioni destinati all’Île-de-France tra il 2026 e il 2032. Una boccata d’ossigeno che però non basta a compensare i costi di produzione legati allo stabilimento di Annonay. Nei truck la musica cambia: volumi in calo, prezzi sotto pressione e contesto competitivo nervoso. Powertrain, invece, manda un segnale di ripresa con volumi motori in leggero aumento e nuovi contratti firmati. A complicare tutto ci si mette anche l’effetto cambio, tutt’altro che amico in questa fase.
Sul fronte strategico, Iveco si prepara a un 2026 di trasformazioni profonde. La divisione Defence sarà ceduta a Leonardo entro il primo trimestre del prossimo anno, mentre il resto del gruppo passerà a Tata Motors entro metà 2026. Un ridisegno industriale che potrebbe cambiare gli equilibri del settore europeo dell’automotive. Nel frattempo, dalla società filtrano messaggi di disciplina, efficienza e sguardo al lungo periodo. La strada è in salita, ma la partita – almeno nei piani del management – è tutt’altro che chiusa.
