Lo smart working è tornato a occupare un ruolo centrale nel mercato del lavoro italiano. Dopo un 2024 di sostanziale stabilità, nel 2025 i lavoratori che operano almeno in parte da remoto sono 3.575.000, in crescita dello 0,6% su base annua. A trainare il fenomeno sono le grandi imprese, dove il numero degli “agili” ha raggiunto 1,945 milioni di persone, pari al 53% del totale dei dipendenti. Un dato che riporta il Paese vicino alla soglia toccata durante la pandemia, quando il lavoro a distanza aveva coinvolto oltre due milioni di addetti. La tendenza interessa anche la Pubblica amministrazione, dove gli smart worker sono saliti a 555.000, corrispondenti al 17% del personale, mentre nel 67% delle amministrazioni sono attive iniziative formali di smart working, in aumento di sei punti percentuali rispetto all’anno precedente.
Il quadro cambia radicalmente nelle imprese di dimensioni minori. Nelle piccole e medie imprese gli smart worker rappresentano appena l’8% del totale, e solo il 45% delle aziende ha adottato una policy o un accordo interno che regolamenti la modalità di lavoro agile, in calo di otto punti in un anno. Nelle medie imprese, tuttavia, emerge un segnale opposto: le iniziative strutturate salgono al 27%, con un incremento di sette punti percentuali rispetto al 2024. Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, il potenziale di espansione resta ampio: fino a 2 milioni di persone che oggi lavorano in presenza potrebbero svolgere almeno metà delle proprie attività da remoto con le dotazioni tecnologiche attuali. Se si liberasse questo margine, il numero complessivo degli smart worker italiani tornerebbe ai 6 milioni del picco pandemico. Ma, come sottolinea il professor Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio, il limite non è tecnologico: «il vero salto riguarda l’organizzazione, la cultura aziendale e la managerialità».
I benefici, infatti, si manifestano soprattutto dove il modello è stato integrato in modo consapevole. L’analisi del Politecnico mostra che i lavoratori coinvolti in una pianificazione collaborativa delle giornate da remoto esprimono un engagement medio di 6,65 su 10, rispetto al 6,14 di chi non ha autonomia decisionale. Il senso di appartenenza cresce dal 31% (tra chi lavora solo in sede) al 40% quando la gestione è condivisa con il team. Sul fronte della produttività, chi gode di maggiore flessibilità dichiara prestazioni migliori e una comunicazione più efficace con colleghi e superiori. Resta tuttavia un effetto collaterale significativo: il 35% degli smart worker soffre di overworking, contro il 30% di chi opera esclusivamente in ufficio. Per questo quasi la metà delle grandi aziende private (49%) ha avviato politiche per tutelare il diritto alla disconnessione, un tema che segnerà la prossima fase di maturità del lavoro agile.






