“Mettiamo mano al portafogli, ma voi cambiate le regole”. È questo, in sintesi, il messaggio arrivato da 28 giganti industriali europei – tra cui Airbus, Siemens, Maersk, Vodafone, Novo Nordisk e Sap – che hanno promesso un incremento del 50% degli investimenti in Europa nei prossimi cinque anni. Una cifra potenzialmente decisiva per ridurre l’enorme divario di 800 miliardi di euro annui individuato da Mario Draghi. Ma la condizione posta al vertice di Copenaghen è chiara: servono riforme strutturali, meno burocrazia e un mercato unico davvero integrato.
Il documento presentato alle istituzioni europee indica cinque priorità: rimuovere le barriere che frenano l’innovazione, stimolare la spesa privata, sostenere la transizione verde, rafforzare la competitività della difesa europea e ridurre la dipendenza da fornitori tecnologici esterni. Un’agenda che Ursula von der Leyen ha definito un elenco dei “talloni d’Achille” dell’Unione. La presidente della Commissione ha ribadito l’urgenza del cambiamento, ricordando come gli strumenti legislativi “Omnibus” siano ancora bloccati in sede di co-decisione e come l’assenza di un mercato unico dei servizi finanziari continui a spingere il risparmio europeo verso Wall Street e Shanghai. Da qui l’avvio della Saving and Investment Union, pensata per trattenere capitali all’interno del continente.
Le risorse promesse dalle imprese guardano soprattutto a settori strategici come intelligenza artificiale, reti 5G e 6G, difesa e ricerca. L’Unione, dal canto suo, intende rafforzare il quadro di incentivi: la Commissione propone di raddoppiare i fondi Horizon Europe nel nuovo piano quinquennale, così da stimolare startup e innovazione. Resta però un percorso normativo complesso, con il rischio che gli industriali ritirino la loro offerta se le riforme non arriveranno in tempi rapidi. In gioco non c’è solo la competitività, ma la possibilità di riportare dentro i confini europei flussi di capitali e capacità tecnologica oggi in fuga verso altri continenti.