Il debito pubblico italiano torna sotto i riflettori della finanza internazionale. Secondo Morgan Stanley, rispetto a 18 mesi fa non è più previsto un percorso di stabilizzazione, bensì una traiettoria di crescita. A pesare, spiegano gli analisti, è l’inversione del rapporto tra tassi d’interesse e crescita economica: il Pil nominale (cioè non depurato dall’inflazione) avanza meno rapidamente del costo del debito, con il risultato di un aumento progressivo dell’indebitamento.
Le stime non lasciano spazio a ottimismo: entro la fine del 2026 il debito italiano dovrebbe attestarsi al 139,7% del Pil, ben oltre il 137,7% indicato nel Documento programmatico di bilancio inviato a Bruxelles. Una prospettiva che smentisce le previsioni del Piano strutturale di bilancio, secondo cui la dinamica avrebbe dovuto stabilizzarsi.
Per contenere l’escalation, l’unico antidoto – rileva Morgan Stanley – resta il mantenimento di un surplus primario pari almeno all’1,5% del Pil, lo stesso livello registrato negli anni delle politiche di austerità.
L’allarme non riguarda però solo l’Italia. L’istituto segnala infatti una tendenza generalizzata, con tassi a lungo termine che restano elevati nonostante i tagli operati dalle banche centrali. Negli Stati Uniti e in Francia il fenomeno è già evidente: Parigi, in particolare, rischia di raggiungere presto Roma in termini di peso del debito pubblico. Solo Germania e Giappone sembrano al momento fuori dal perimetro delle preoccupazioni.
Andrea Valsecchi