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venerdì 20 Giugno, 2025
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Milano chiusa per ferie (e per idee)

Dalla cultura allo sport, fino alla mobilità: Milano chiude ciò che dovrebbe unire e lascia aperto ciò che crea divisione. Il commento di Carmelo Ferraro.

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Milano, capitale morale. Ma anche capitale delle chiusure. Non quelle estive, si badi bene: qui si parla di chiusure vere, strutturali, simboliche. Chiusure che raccontano una città sempre più difficile da vivere, da capire e anche da amare.

Cominciamo dalla cultura, perché – come si diceva una volta – “con la cultura non si mangia”, e oggi nemmeno si entra. Il Museo del Fumetto, eccellenza nazionale, è stato costretto a sospendere le attività per mesi, travolto da silenzi istituzionali e fondi evaporati. Mentre fuori si moltiplicano le proteste di appassionati, famiglie e operatori culturali, dentro regna una calma piatta da fine dei giochi.

Non va meglio al Leonardo3 – Il Mondo di Leonardo, la mostra multimediale e interattiva in Galleria Vittorio Emanuele II, che ha denunciato pubblicamente la mancanza di sostegno da parte del Comune. Uno dei più visitati musei di Milano, con 11 milioni di visitatori dal 2013, si è ritrovato a chiedere aiuto per non chiudere. Il cortocircuito è servito: celebriamo il genio del Rinascimento ma non sappiamo risolvere problemi burocratici.

Dalla cultura al benessere il passo è breve. Peccato che anche qui, a Milano, la parola d’ordine sembri essere: “vietato nuotare”. Numerose piscine comunali sono ancora chiuse, in stato di ristrutturazione eterna o abbandono burocratico. È il caso della Scarioni, dell’Argelati, ma anche di molte strutture decentrate. Risultato? In una città sempre più calda e frenetica, i milanesi sudano… ma non si rinfrescano.

E se qualcuno pensa di evadere dalla giungla urbana con una passeggiata, ecco le chiusure stradali: Area B, Area C, piste ciclabili tracciate come labirinti esoterici, cantieri eterni, mezzi pubblici a circolazione ridotta. Il cittadino si sente come in un videogioco: evita l’auto, evita la bici, evita i lavori in corso, non trova i mezzi, ma soprattutto… evita di capire. Il rischio è che la mobilità sostenibile diventi insostenibile per i nervi.

Infine, un’altra nota dolente: le occupazioni abusive. In via Brenta, all’angolo con corso Lodi, da mesi un intero edificio è occupato senza alcuna reazione concreta. I residenti parlano apertamente di degrado, insicurezza, mancanza di risposte. “La gente è stanca, si sente abbandonata”, scrivono e denunciano sui social e nei gruppi di zona, “facciamo sacrifici enormi per pagare la casa e le utenze, e c’è chi occupa senza diritti e a spese di tutti”. Ma la politica – quella alta, quella di palazzo – sembra voltarsi altrove, forse distratta da qualche festival gourmet, dalla prossima inaugurazione “green” o dalla prossima Week a tema.

Il paradosso è evidente: si chiude ciò che dovrebbe unire, si lascia aperto ciò che crea divisione. Cultura, sport, mobilità: tutto sembra ostacolato da una visione tecnocratica e autoreferenziale, dove il cittadino diventa spettatore impotente. A Milano non manca la voglia di fare, manca l’accesso: alle idee, ai servizi, ai luoghi del vivere comune.

Chiudere un museo, una piscina, una strada non è solo un gesto tecnico. È una scelta simbolica, che racconta la direzione – o l’assenza di direzione – di una città che rischia di perdere la propria anima. Una nebbia culturale e trasversale, sembra aver avvolto Milano: offuscando i bisogni reali, ignorando il benessere quotidiano. È ora di aprire gli occhi. E magari anche qualche porta.

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